La poliomielite mi ha colpito a nove mesi, l’età in cui, normalmente, i bambini imparano a camminare e invece io iniziavo a convivere con una malattia terribile.
C’è un black out nei miei ricordi dei primi anni di vita, un cassetto occupato solo da dolore e sofferenza. Quella fisica, per le numerose operazioni cui sono stato sottoposto e molto più quella psicologica, perché la malattia mi aveva portato via da casa, lontano dalla mia famiglia, dai miei affetti.
A 9 anni sono diventato maturo. Davvero maturo. Da quel momento i miei ricordi hanno assunto concretezza, avanzando lentamente dall’inferno degli interventi chirurgici (che sarebbero andati avanti fino ai 15 anni) cui ero continuamente sottoposto per correggere la crescita degli arti inferiori. Il difficile era affrontare il post operatorio: costretto a stare al buio, con il gesso alle gambe, in un letto di ospedale cui venivo legato con cinghie strettissime per evitarmi qualsiasi tipo di movimento. Giorni e notti che diventavano interminabili. Una gabbia per qualsiasi essere umano, figuriamoci per un bambino.
Eppure già allora viveva in me un profondo sentimento di Fede che mi avvicinava al Signore: avevo iniziato a pregare con la consapevolezza della malattia e con la sola richiesta di aiuto per imparare a superare le mie difficoltà.
Il primo desiderio nato da quella sofferenza è un desiderio semplice: aspiravo al grande “valore”della normalità.
Fateci caso, ogni giorno incontriamo persone che hanno una vita normale ma non sono felici …
Nulla è stato semplice e non è certo andata meglio nella convivenza con gli altri ragazzi che incontravo negli istituti riabilitativi.
Devo dire che la mia statura importante mi ha sempre permesso di difendermi e di “conquistare sul campo” il rispetto degli altri, al punto che quando arrivavo in un nuovo istituto, eroici racconti mi avevano anticipato e tanti bambini chiedevano la mia “protezione”. Non esagero nel dire che mi temevano anche le suore e le assistenti sociali, testimoni di episodi che mi avevano visto resistere con incredibile forza alle punizioni che ci sottoponevano.
I pugni allo stomaco più duri sono arrivati dopo, con l’impatto ostile che la società mi ha riservato fuori dagli istituti. Non parlo degli amici o delle ragazze che, comunque, non sembravano infastidite dalla mia condizione, ma delle loro famiglie.
Del resto: chi avrebbe voluto vedere vicino alla propria figlia un disabile?
L’effetto detonatore scattato in me a quel punto è il vero faro-guida da cui non mi sono più allontanato. Quella forza sta in un posto segreto, vicinissimo alla mia anima, la nutro con la Fede verso il Signore, che non ho mai smesso di ringraziare.
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