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Letteratura e vita, il mistero della vita, nella follia della morte, Alda Merini e Cesare Pavese 

“Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto.” (Giovanni 12, 24).

Nella parabola esistenziale della grande poetessa milanese Alda Merini, l’attrazione-repulsione per la morte, compare diverse volte: “O morte, che tutti credono riluttante e infelice, tu sei una vergine leggiadra che mi scioglierà da questo letame, la donna che consegnerà il mio calvario al Signore (da Francesco: canto di una creatura”, Frassinelli, 2007). L’abbandono mistico conclusivo, non deve stupire, se da alunna delle elementari la poetessa aveva manifestato il desiderio di farsi suora, ostinatamente e violentemente represso dalla madre. In seguito la diagnosi di disturbo bipolare, che le procurò diversi elettroshock, compare nel forte attaccamento alla vita, ma anche nel considerare la morte comeun evento con il quale deve fare i conti: “…poiché la morte è muraglia/ dolore, ostinazione violenta/ io magicamente resisto” (da Elogio della morte). Col passare degli anni, raggiunta la fama, la Merini guarderà le cicatrici che il manicomio le ha lasciato e che le hanno permesso di maturare, in un doloroso viaggio, per raggiungere un approccio diverso con l’esistenza, ma il chicco di grano non è ancora morto e non può sciogliere ed elevare l’anima della poetessa: “Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi, le mie radici stentano a mollare la terra.” (da La pazza della porta accanto). Alda Merini morì a Milano, a 78 anni, il 1novembre 2009.

Cesare Pavese: il suo chicco di vita, che frutto ha prodotto? Conosciamo il carattere introverso dello scrittore, le sue delusioni amorose, ma anche e soprattutto i suoi romanzi di successo, da La luna e i falò, a La bella estate, con il quale vinse il Premio Strega nel 1950, anno della sua morte, da Il compagno, Premio Salento nel 1948, a Dialoghi con Leucò del 1947, poi Il diavolo sulle colline e tanti altri. La sua anima più intima la troviamo però nelle liriche, riunite in varie raccolte, come Lavorare stanca, del 1936, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, pubblicato postumo nel 1951 e altre sillogi. Il dramma del vivere, l’incontro-scontro con la morte lo toccherà sin dall’infanzia, con la dipartita di una sorella e due fratelli, poi il decesso del padre, quando aveva solo cinque anni, per non parlare delle meditazioni e sofferenze sul suicidio, dopo l’atroce gesto dei compagni e amici, Elio Baraldi e Carlo Predella. Il 1gennaio 1950, a Roma, sul suo diario scrisse: “…Solita storia. Anche il dolore, il suicidio, facevano vita, stupore, tensione. In fondo ai grandi periodi hai sempre sentito tentazioni suicide. Ti eri abbandonato. Ti eri spogliato dell’armatura. Eri ragazzo. L’idea del suicidio era una protesta di vita. Che morte non voler più morire.” Nella raccolta poetica Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, dedicata all’amore sfortunato per l’attrice americana Constance Dowling, così si esprime: “…questa morte che ci accompagna/ dal mattino alla sera, insonne,/ sorda, come un vecchio rimorso/ o un vizio assurdo…”. Quale sarà il frutto di questa morte? La risposta ce la offre lo stesso Pavese, quando prima di suicidarsi, in una stanza d’albergo a Torino, nel 1950, con alcuni barbiturici, così scrive su un biglietto autografo, all’interno del libro Dialoghi con Leucò: “L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo di immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia”. Restare nella memoria…e ancora: “Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti”. Questo pensiero ha tutte le caratteristiche di un testamento poetico: condividere, dare voce alle “pene” degli uomini, quelle subite, ma spesso taciute e quindi dimenticate. Un’ultima frase epigrammatica conclude quel piccolo addio, vergato dallo scrittore prima di suicidarsi: “Ho cercato me stesso”. Per interpretare le problematiche degli altri, prima è necessario conoscersi, con tutte le proprie fragilità, dalle quali non si può fuggire e inutile sarà ogni conforto: “…I tuoi occhi/ saranno una vana parola/ un grido taciuto, un silenzio…”. (da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi).

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