La stella di Betlemme e la congiunzione tra Saturno e le Pleiadi

1° parte di tre

Abstract

Il Vangelo di Matteo racconta che “Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”. Fu in epoca moderna che diversi studiosi, a partire dall’astronomo Keplero, iniziarono a chiedersi se ciò che i Magi avevano visto fosse non una stella, ma una congiunzione astronomica fra pianeti. In questo articolo presentiamo le ragioni a sostegno dell’ipotesi che il fenomeno celeste a cui si riferisce Matteo sia stata la congiunzione tra il pianeta Saturno e l’ammasso delle Pleiadi avvenuta nella primavera dell’anno 3 a.C., finora ignorata dagli studiosi sebbene lo storico greco Plutarco ci abbia tramandato che un antico popolo atlantico celebrava questa ricorrenza trentennale con grandi festeggiamenti. A favore della plausibilità di questa ipotesi stanno non soltanto le corrispondenze tra i Magi e la costellazione di Orione, strettamente legata alle Pleiadi, ma anche il fatto che tale congiunzione sia avvenuta in corrispondenza della transizione dall’età dell’Ariete all’età dei Pesci, per di più in coincidenza con la fine di un periodo politicamente molto turbolento, in cui era crollato il plurimillenario Regno d’Egitto, e ciò accresceva l’aspettativa, espressa da Virgilio nella IV Ecloga, di un ritorno alla mitica Età dell’Oro di Saturno. Pertanto, tenendo anche conto dell’importanza attribuita da molte culture alle Pleiadi ed in particolare a Maia, la stella centrale dell’ammasso, identificata con la Madre Terra, la congiunzione avvenuta il 3 a.C. dovette essere considerata come l’incontro celeste tra due grandi entità divine, una maschile (Saturno) e l’altra femminile (Maia), da cui era lecito aspettarsi – “come in alto, così in basso” – la nascita sulla Terra di un Bimbo Speciale, il futuro re di una nuova era, che i Magi cercavano “per adorarlo”.

Introduzione

In questo articolo si propone l’ipotesi che la Stella di Betlemme – che avrebbe guidato i Magi alla capanna dove nacque Gesù – non sia stata una congiunzione tra due pianeti, come attualmente ritengono diversi studiosi, bensì quella tra Saturno e le Pleiadi avvenuta nell’anno 3 a.C.; a tal fine, sarà utilizzata una metodologia consistente in un nuovo esame critico di fonti non solo classiche, ma anche appartenenti ad altri contesti letterari e scientifici.

La Stella di Betlemme è il nome dato a un fenomeno astronomico che, secondo il racconto del Vangelo di Matteo, si verificò al tempo della nascita di Gesù: “Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo” [1]. Nelle prime icone cristiane, l’astro del presepe era effettivamente una stella, il cui esempio più antico è una pittura murale nelle Catacombe di Priscilla (IV secolo d.C.) a Roma. Nelle raffigurazioni altomedievali, il fenomeno celeste poteva assumere altre forme, come un cerchio luminoso, un rosone, un fiore, un angelo, un cherubino o lo stesso Gesù Bambino [2]. La rappresentazione a forma di cometa apparve per la prima volta all’inizio del XIV secolo, quando Giotto, impressionato dal passaggio della cometa di Halley nel 1301, raffigurò la Stella di Betlemme come una cometa dalla lunga coda in un affresco nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Nei secoli successivi, questa rappresentazione ebbe uno straordinario successo artistico, al punto da essere tuttora considerata una classica icona della Natività di Gesù.

Un’altra ipotesi astronomica, risalente all’età moderna, è che la Stella di Betlemme non fosse una stella, né una cometa, né una supernova, ma una congiunzione di Giove con altri pianeti. Il primo a lavorare su questa idea fu Keplero, che nel 1614 studiò una serie di congiunzioni di Giove con Saturno verificatasi nell’anno 7 a.C. [3]. Tale ipotesi è stata poi ripresa da altri studiosi, tra cui recentemente dall’archeologo Simo Parpola [4]. Inoltre, diverse altre congiunzioni, molto significative dal punto di vista astrologico, ebbero luogo negli anni 3 e 2 a.C. Tre di queste coinvolsero Giove con la stella Regolo della costellazione del Leone, considerata anch’essa un simbolo regale, mentre altre, avvenute nei pressi di Regolo, coinvolsero Venere e altri pianeti, tra cui Marte e Mercurio [5].

Ma perché a guidare i Magi a Betlemme potrebbe essere stata una congiunzione planetaria? Era evidentemente necessario che l’evento fosse considerato eccezionale ed avesse un particolare significato astrologico, secondo l’antica idea tradizionale secondo cui ciò che accade sulla Terra è un riflesso di ciò che avviene in Cielo. Già nell’VIII secolo d.C., l’astrologo persiano Masha’allah ibn Athari, basandosi su dati e teorie astrologiche di origine iraniana e babilonese, sostenne che ogni importante cambiamento religioso o politico, comprese le nascite di Cristo e Maometto, era legato alla congiunzione tra Giove e Saturno [6].

Tuttavia, fra tutte le ipotesi di congiunzioni astronomiche da collegare a un evento eccezionale, non ci sembra che finora sia stato preso in considerazione l’incontro periodico, menzionato con grande enfasi dallo scrittore greco Plutarco (40-120 d.C. circa), tra il pianeta Saturno e la costellazione del Toro. Infatti, secondo una sua opera, in un’epoca remota ogni trenta anni, su un’isola atlantica dove il dio Crono era tenuto prigioniero, si celebrava una grande festa, allorché nel firmamento notturno la “Stella di Crono”, cioè Saturno, faceva ritorno nella costellazione del Toro [7].

Ma ora, prima di proseguire, dobbiamo subito chiederci se sia ragionevole supporre che in un remoto passato l’Oceano Atlantico fosse navigabile, come Plutarco sostiene nel passo [8] in cui riporta questa notizia. In effetti, abbiamo già cercato di dare una risposta razionale a tale quesito in un precedente articolo [9], di cui ora riportiamo i punti salienti. In esso abbiamo innanzitutto sottolineato che qui Plutarco menziona un grande continente che circonda l’Atlantico, a suo dire raggiungibile seguendo una rotta lungo la quale si incontrano alcune isole intermedie. La prima è Ogigia, l’isola della dea Calipso nell’Odissea, situata “a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, verso il tramonto”; poi ce ne sono altre tre “distanti l’una dall’altra quanto da essa”, prima di raggiungere il “grande continente” che circonda il “grande mare” [10]. È importante qui sottolineare che si tratta di isole tutte situate a un’alta latitudine: lì, infatti, d’estate i viaggiatori “vedono il sole scomparire alla vista per meno di un’ora ogni notte per un periodo di trenta giorni, seppure con una breve oscurità, mentre un crepuscolo riluce a ovest” [11]. Considerando che in un precedente lavoro avevamo identificato Ogigia con una delle Isole Fær Øer [12] (che si trovano “verso il tramonto” rispetto all’estremità settentrionale della Scozia durante la stagione della navigazione, cioè intorno al solstizio d’estate, quando il sole, data l’elevata latitudine, tramonta quasi a nord), le altre tre isole del Nord Atlantico lungo la rotta verso il continente americano sono l’Islanda, la Groenlandia e Terranova.

Inoltre Plutarco subito dopo afferma che sulla costa di quel continente oltremare si trova “un golfo non meno esteso della Meotide (l’odierno Mar d’Azov, presso la Crimea), la cui foce sta esattamente in linea retta con lo sbocco del Mar Caspio” [13]. Secondo Minas Tsikritsis [14], il riferimento è al Golfo di San Lorenzo, sulla costa atlantica del Canada: infatti la latitudine del suo sbocco nell’oceano, 47°, corrisponde a quella dello sbocco del Caspio, cioè il delta del Volga. Ciò la dice lunga sulle conoscenze geografiche degli antichi e sulla loro capacità di navigare attraverso gli oceani [15] e al tempo stesso ci dà un’ulteriore conferma dell’attendibilità di Plutarco e del suo racconto.

D’altra parte, la possibilità che sul versante americano del Nord Atlantico vi fossero antichi insediamenti europei – forse legati anche all’estrazione del rame dalle antiche miniere di Isle Royale [16], l’isola più grande del Lago Superiore – emerge da vari indizi (su cui ci siamo soffermati nell’articolo sopra citato), quali la persistenza di miti e leggende paragonabili a quelli del Vecchio Mondo, nonché i tratti caucasici di alcuni nativi americani, che sembrano confermare l’idea di antichi contatti tra le due opposte sponde dell’Atlantico. D’altronde vi sono studiosi che hanno collegato il mito di Atlantide al megalitismo [17], le cui tracce si trovano quasi in tutto il mondo, insieme a miti e leggende molto simili in civiltà anche lontanissime tra loro. Ciò è in accordo con i risultati di un autorevole studio sul megalitismo europeo, pubblicato recentemente, in cui si mette in evidenza “il trasferimento del concetto megalitico sulle rotte marittime provenienti dalla Francia nord-occidentale e l’avanzata tecnologia marittima e la navigazione nell’era megalitica” [18].

Questa ipotizzata globalizzazione preistorica attraverso la navigazione, che precedette di millenni quella realizzata dalle flotte europee a partire dal XVI secolo, fu resa possibile dall’Optimum Climatico Olocenico (HCO), con temperature medie significativamente superiori a quelle odierne. Infatti, fino al terzo millennio a.C., l’HCO rese da un lato l’attuale deserto del Sahara verde e umido [19], e dall’altro il Mare Artico navigabile durante l’estate [20]. Ciò favorì le comunicazioni dirette tra l’Atlantico e il Pacifico attraverso una rotta polare che prevedeva una facile navigazione costiera lungo la costa settentrionale canadese, evitando il passaggio per il lontanissimo e pericolosissimo Stretto di Magellano, situato all’estremità meridionale del continente americano.

Ma ora, dopo aver dimostrato la plausibilità delle affermazioni di Plutarco riguardo ad una antica civiltà atlantica, è arrivato il momento di affrontare direttamente la questione della stella dei Magi.

La congiunzione tra Saturno e le Pleiadi

Torniamo dunque alla notizia riportata da Plutarco, ovvero che in una remota antichità si dava una grande importanza al periodico incontro celeste tra Saturno e la costellazione del Toro. Ma perché? Riguardo a Saturno, esso astronomicamente si caratterizza per il fatto di essere il pianeta che, tra quelli visibili a occhio nudo dalla Terra (gli altri sono Mercurio, Venere, Marte e Giove), ha il suo moto ciclico apparente rispetto alle costellazioni più lento in assoluto. Esso infatti ritorna nella stessa posizione nel firmamento notturno ogni trent’anni circa, dopo aver attraversato in questo intervallo di tempo una dopo l’altra tutte le case dello Zodiaco.

L’importanza attribuita da molte culture antiche al ciclo di Saturno è attestata dal fatto che il dio egizio “Ptah fin dall’inizio portò il titolo di ‘Signore del Ciclo Trentennale’, cioè del periodo di Saturno” e che “in Cina Saturno era la Stella Imperiale” [21]. Ciò corrisponde al fatto che, secondo Plinio il Vecchio, nel mondo celtico i Druidi avevano “secoli (‘saecula’ in latino) che durano trent’anni” [22], dove per ‘saecula’ si intendono ‘cicli temporali’ (infatti il termine latino ‘saeculum’ è glottologicamente accostabile al greco ‘kyklos’, ‘ciclo’).

Inoltre è importante rilevare fin d’ora (ma è un discorso su cui torneremo in seguito) che Saturno, chiamato da Plutarco “la Stella di Crono”, è il pianeta corrispondente al grande dio – chiamato Saturno dai Romani, Crono dai Greci – che prima di essere detronizzato e mandato in esilio era stato il Signore della mitica Età dell’Oro, di cui all’epoca della nascita di Gesù si attendeva il ritorno poiché era in corso il passaggio dall’età dell’Ariete a quella dei Pesci, come vedremo meglio in seguito.

Quanto alla costellazione del Toro, l’altro protagonista di questo periodico appuntamento celeste raccontato da Plutarco, la sua importanza è legata al fatto che di esso fanno parte le Pleiadi, un ammasso stellare, distante circa 440 anni luce dalla Terra, che contiene più di mille stelle (anche se ad occhio nudo è possibile vederne solo da sei a dodici, a seconda delle condizioni di visibilità e dell’acutezza visiva dell’osservatore). Le Pleiadi, menzionate nelle leggende di moltissimi popoli, erano tradizionalmente considerate sette, le Sette Sorelle della mitologia greca e romana, tra le quali, secondo Cicerone, la più importante era la “Santissima Maia” [23].

L’importanza delle Pleiadi è anche legata al fatto di avere avuto un ruolo fondamentale nei calendari di molte culture tradizionali, in particolare nell’antica Mesopotamia, dove “Le Pleiadi svolgono un ruolo importante nel computo calendariale (…). Il sorgere delle Pleiadi è fissato nel secondo mese del calendario babilonese Ayāru (aprile/maggio). Va notato che il nome sumero del mese richiama il nome della costellazione del Toro (…). Le Pleiadi potrebbero rappresentare una ‘pars pro toto’ della costellazione del Toro e quindi apparire nello Zodiaco in sostituzione del Toro (…). Il sorgere delle Pleiadi all’inizio del secondo mese è menzionato anche nel MUL.APIN: ‘Il 1° di Ayāru le Pleiadi diventano visibili’” [24] (MUL.APIN è il nome di un antico compendio astronomico e astrologico mesopotamico, risalente forse a 3000 anni fa).

In sostanza, il sorgere delle Pleiadi nel calendario mesopotamico corrisponde al primo giorno del secondo mese dell’anno, Ayāru, il segno zodiacale del Toro in lingua sumera. Ma la centralità delle Pleiadi in molte culture si ritrova anche in calendari quali quelli dei Basotho (Africa meridionale) [25], degli Zulu [26], dei Filippini precoloniali [27], degli Aztechi [28], degli Inca [29], degli Hopi (Nativi Americani) [30], delle tribù della Guyana [31], degli Hawaiani [32].

Però prima di coinvolgere direttamente le Pleiadi – ed il loro celeste incontro con Saturno – con la Stella di Betlemme, vediamo se ve ne siano tracce anche nel contesto biblico e soprattutto se vi sia una diretta relazione tra di esse e quanto racconta Matteo sui Magi e sulla nascita di Gesù.

La Bibbia menziona le Pleiadi tre volte, in Giobbe 9:9, Giobbe 38:31 e Amos 5:8 (sempre insieme con Orione, la costellazione che vi si trova davanti e che porta il nome del mitico personaggio ad esse più strettamente legato, su cui torneremo fra poco). Un altro punto di contatto tra il mondo ebraico e le Pleiadi è il fatto che Gerusalemme è situata su sette colli [33], il che la collega a Roma e ad altre città antiche anch’esse situate su sette colli, pur appartenenti a culture lontane e molto diverse, quali Teheran, Bisanzio, Armagh, La Mecca, Besançon, Bamberg e molte altre (perfino Macao in Cina). Infatti Roma, come vedremo meglio fra poco, è una città strettamente legata alle sette Pleiadi sia per i Sette Colli – che ne rappresentano la proiezione sulla Terra, secondo il motto “come in alto, così in basso” tradizionalmente attribuito a Ermete Trismegisto – sia per la sua data di fondazione, il 21 aprile, ossia il primo giorno del Toro, che, come abbiamo visto poco fa, nel calendario mesopotamico corrisponde al sorgere annuale delle Pleiadi.

Ma ora, prima di giungere alle conclusioni, a questo quadro occorre aggiungere un ulteriore elemento. Ci riferiamo alla costellazione di Orione, che nel cielo notturno appare simile a una grande clessidra, posta di fronte al Toro e alle Pleiadi (Fig. 1), con al centro tre stelle quasi allineate, chiamate “la Cintura di Orione”. Notiamo che in molte mitologie, compresa quella greca, Orione è un gigantesco cacciatore, le cui storie spesso sono intrecciate a quelle delle Pleiadi.

A questo punto dobbiamo verificare se vi è una relazione tra le Pleiadi, Maia, Orione e il racconto del Vangelo di Matteo sui Magi e sull’apparizione della stella.

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