2° parte di 3
A questo punto dobbiamo verificare se vi è una relazione tra le Pleiadi, Maia, Orione e il racconto del Vangelo di Matteo sui Magi e sull’apparizione della stella.
Osserviamo subito che nella mitologia finlandese il nome della Cintura di Orione è ‘Väinämöisen vyö’, ‘la Cintura di Väinämöinen’. Väinämöinen è un uomo saggio, che nell’ultima runa del Kalevala è direttamente coinvolto nella storia della vergine Marjatta e di suo figlio: costei si trovò miracolosamente incinta, partorì in una stalla e depose il neonato, destinato a diventare il re dei Careli, in una mangiatoia [34]. Qui troviamo sorprendenti somiglianze con la storia della nascita di Gesù riportata nel Vangelo di Luca, inclusa la profezia che “il Signore Dio gli darà il trono di Davide” [35].
Notiamo anche che nel Kalevala, una raccolta di poemi epici del XIX secolo compilata da Elias Lönnrot a partire dal folklore orale della Carelia e della Finlandia, Väinämöinen è il più anziano di una triade di personaggi mitici (gli altri due sono il fabbro Ilmarinen e il giovane Lemminkäinen) che presentano le stesse caratteristiche di età che la tradizione attribuisce ai tre Magi: uno anziano, uno di mezza età e uno più giovane.
A questo punto, colpisce il fatto che in molte tradizioni popolari le tre stelle della Cintura di Orione hanno il nome di “I Tre Re” o “I Re Magi”: ad esempio in Inghilterra [36], in Olanda, tra gli afrikaans in Sudafrica [37], nell’Italia centro-settentrionale [38] e in alcune ex colonie spagnole come il Messico [39] e Porto Rico [40].
Ma cosa significa tutto ciò? Se prolunghiamo la linea immaginaria che collega fra loro le tre stelle pressoché allineate della Cintura di Orione, vediamo che essa punta quasi esattamente in direzione delle Pleiadi. Insomma queste tre stelle, chiamate ‘i Magi’ in varie tradizioni, con il loro allineamento indicano le Pleiadi, ovvero la ‘Santissima Maia’ menzionata da Cicerone. Tutto ciò collega le Pleiadi direttamente alla stella dei Magi. Oltretutto, a questo punto appare quanto meno curioso che la stella Maia, collocata al centro delle Pleiadi, sia nel contempo la dea Maia che secondo la mitologia greca diede alla luce Hermes, figlio del dio del cielo Zeus, di notte e in una grotta [41].
Da tutto quanto sopra detto consegue che il fenomeno astronomico osservato dai Magi, a cui fa riferimento il Vangelo di Matteo, potrebbe effettivamente corrispondere alla congiunzione tra Saturno e le Pleiadi avvenuta nella primavera dell’anno 3 a.C. (Fig. 2).

Fig. 2. Ricostruzione con il software Perseus del cielo notturno del 1 aprile del 3 a.C. Sulla sinistra appare Orione con le tre stelle della Cintura al centro, quasi allineate, che puntano verso Saturno e l’ammasso delle Pleiadi (in basso a destra).
Questa data a sua volta trova riscontro nel fatto che per alcuni studiosi, come Andrew Steinmann [42] e W.E. Filmer [43], la nascita di Gesù avvenne tra il 3 e il 2 a.C.; inoltre Jack Finegan, che colloca la morte di Erode nell’1 a.C., ritiene che, se Gesù fosse nato uno o due anni prima, la sua nascita sarebbe avvenuta nel 3 o nel 2 a.C. [44].
La fine di un’era e l’inizio dell’età dei Pesci
A questo punto possiamo chiederci se la congiunzione di Saturno con le Pleiadi del 3 a.C. non abbia avuto per gli astronomi dell’epoca un significato maggiore rispetto a quelle avvenute in precedenza, tale da giustificare le aspettative espresse dai Magi secondo il racconto di Matteo.
Ora, ricordando da un lato che nell’antichità gli astronomi erano anche astrologi, e dall’altro che per affrontare correttamente problemi come quello che stiamo trattando “l’approccio razionalistico è sterile senza lo sforzo di calarsi nella mentalità dell’epoca e del popolo con cui abbiamo a che fare” [45], dobbiamo tenere conto del fatto che all’epoca della nascita di Cristo era in atto la transizione dall’età dell’Ariete a quella dei Pesci (così come ora, dopo circa 2.000 anni, si parla già della transizione dai Pesci all’Acquario).
Ciò è dovuto al fenomeno della precessione degli equinozi, dovuta ad un moto a trottola dell’asse terrestre che nel tempo tende lentamente a spostare le costellazioni sullo sfondo della volta celeste, impiegando poco meno di 26.000 anni per completare un ciclo completo e tornare alla posizione di partenza. Tra le conseguenze della precessione, oltre al fatto che la Stella Polare non rimane sempre la stessa ma cambia ciclicamente nel tempo, c’è anche il fatto che il segno zodiacale in corrispondenza del quale all’equinozio di primavera sorge il sole (attualmente quello dei Pesci, che al tempo della nascita di Cristo stava subentrando all’Ariete ma che ora, circa duemila anni dopo, verrà presto sostituito dall’Acquario) non rimane fisso, ma tende anch’esso a spostarsi, seppur molto lentamente, ed in tal modo dopo un paio di millenni o poco più finisce per cedere il passo al segno che lo precede nella sequenza dei segni zodiacali. Secondo le credenze dell’astrologia, questa alternanza periodica delle costellazioni avrebbe un forte impatto sugli eventi e sui destini degli uomini e dei popoli.
Notiamo a questo punto che le Pleiadi, misuratrici del ciclo annuale così come del ciclo trentennale segnato dal suo incontro periodico con Saturno, secondo un passo del Libro di Enoch (un testo apocrifo della Bibbia) dovevano essere considerate responsabili anche della precessione degli equinozi: “E colà vidi sette stelle del cielo legatevi sopra, insieme, come grandi montagne e come di fuoco ardente. Allora io dissi: Per quale peccato sono state legate? E perché sono state gettate qui? E Uriele, uno degli angeli santi, quello che era con me e mi guidava, mi disse: O Enoc, perché domandi, chiedi e ti preoccupi? Queste sono, fra le stelle, quelle che trasgredirono l’ordine di Dio altissimo, e sono state legate qui fino a che si compiano diecimila secoli, il numero dei giorni della pena del loro peccato!” [46].
In questa potente immagine delle sette stelle del cielo legate insieme, “come grandi montagne e come di fuoco ardente”, sono immediatamente riconoscibili le sette Pleiadi – quali si ritrovano anche nella Bibbia: “Puoi tu legare le catene delle Pleiadi?” [47] – però a prima vista il significato della loro punizione per aver trasgredito un ordine divino sembrerebbe sfuggirci (quanto all’idea delle sette Pleiadi paragonate a montagne, si ritrova nel loro rapporto con i sette colli di Roma e Gerusalemme, di cui parleremo tra poco, così come nella mitologia greca, dove erano considerate anche come ninfe dei monti [48]).
Ma ora, ricordando che nel mondo mesopotamico le Pleiadi erano strettamente connesse alla misurazione del tempo, ci sembra ragionevole supporre che la loro “trasgressione” si riferisca proprio al fenomeno della precessione, che, spostando gradualmente nel tempo il polo celeste e di conseguenza la posizione delle costellazioni nel firmamento, doveva essere considerata una gravissima violazione dell’immutabile ordine cosmico stabilito da Dio. Ciò spiega l’esorbitante durata della pena (“diecimila secoli”), commisurata, come per una sorta di contrappasso cosmico, alla lunghissima durata della precessione. Il suo ciclo completo, infatti, come abbiamo detto, dura quasi 26.000 anni, che, suddivisi tra le dodici costellazioni dello Zodiaco, si traducono nel fatto che il sole sorge all’equinozio di primavera rimanendo nello stesso segno zodiacale per un periodo di circa 2.150 anni. Ciò rafforza l’idea dell’importanza che gli astronomi antichi attribuivano alle Pleiadi come misuratrici del tempo, che viene così addirittura esteso ad una scala, quella della precessione, ben più grande non solo di quella annuale (dovuta alla rivoluzione della Terra attorno al Sole), ma anche di quella trentennale (legata al movimento apparente di Saturno rispetto alle costellazioni dello Zodiaco, ma che in realtà è dovuta al suo moto di rivoluzione attorno al Sole).
In realtà, non è possibile stabilire astronomicamente una data esatta per il passaggio da un segno zodiacale all’altro, data la difficoltà nello stabilire i confini precisi di ciascuna casa dello Zodiaco rispetto a quelle adiacenti; è tuttavia del tutto ragionevole supporre che, nei periodi di transizione, per stabilire questa data gli antichi astronomi facessero riferimento proprio alla congiunzione tra Saturno e le Pleiadi, che invece è univocamente definibile e permette di scandire il tempo con precisione secondo un ciclo trentennale, ben più adatto di quello annuale perché è molto più lungo. Ora, abbiamo appena visto che la congiunzione più vicina alla nascita di Gesù ebbe luogo nella primavera dell’anno 3 a.C. [49], quando i tempi erano più che maturi per considerare l’Età dell’Ariete prossima alla sua conclusione, mentre nel contempo cresceva sempre più l’attesa per l’arrivo dell’età dei Pesci.
A tale proposito, una precisa testimonianza, molto indicativa delle aspettative connesse a questo passaggio epocale dall’Ariete ai Pesci, si può trovare nella letteratura dell’antica Roma. Ci riferiamo alla IV Ecloga di Virgilio, una composizione poetica databile attorno al 40 a.C., in cui il poeta canta l’imminente ritorno del mitico regno di Saturno che riporterà l’Età dell’Oro sulla Terra e donerà finalmente pace, giustizia e prosperità a tutta l’umanità: “Sta ormai arrivando l’ultima età dell’oracolo cumano:/ Nasce di nuovo il grande ordine dei secoli,/ Ormai ritorna anche la Vergine, ritorna il regno di Saturno,/ Ormai una nuova progenie discende dall’alto del cielo” [50] (quanto alla “ultima età”, si tratta dell’età dei Pesci, l’ultimo dei segni dello Zodiaco, mentre la Vergine è Astrea, la Giustizia, fuggita dalla Terra quando finì l’Età dell’Oro). Per inciso, è forse anche a questa Ecloga, considerata in passato una profezia della nascita di Cristo, che dobbiamo la fama di mago sapiente che accompagnò la figura di Virgilio anche nel Medioevo – basti pensare all’importanza che Dante gli attribuisce nella Divina Commedia – senza mai estinguersi del tutto, al punto da aver ispirato in tempi recenti la fiaba “Virgilius the Sorcerer” (“Virgilio lo Stregone”) dello scrittore e antropologo scozzese Andrew Lang. D’altronde ancora oggi a Napoli, dove si trova la sua tomba, a livello popolare Virgilio è considerato quasi un santo patrono della città.
Ad ogni modo, tutto il mondo di quell’epoca anelava a una stabilizzazione che ponesse fine alle continue convulsioni causate dalle interminabili guerre civili che avevano a lungo dilaniato il mondo romano e coinvolto molti altri popoli. In particolare, l’ultima di queste guerre, quella tra Ottaviano e Marco Antonio, vide il diretto coinvolgimento dell’Egitto, che pagò un prezzo altissimo: questo venerabile regno, altamente civilizzato e con una gloriosa storia plurimillenaria, intorno al 30 a.C., dopo la sconfitta di Cleopatra, crollò miseramente e si ritrovò ridotto a provincia di Roma! Questo fu certamente considerato il segno di un’epoca che stava finendo per sempre, il che dovette ulteriormente accrescere l’attesa per l’arrivo della nuova età dei Pesci. D’altronde, appena tre anni dopo la fine dell’Egitto, nel 27 a.C., Ottaviano, il vincitore, fu nominato Imperatore Augusto e poi, nel 12 a.C., divenne anche Pontefice Massimo: in questo modo riunì nella sua persona le due massime cariche, quella civile e quella religiosa, dello Stato romano, inaugurando una nuova fase di stabilità politica che Virgilio aveva predetto nella IV Egloga e poi ribadito in una importante profezia dell’Eneide: “Augusto Cesare, di stirpe divina, riporterà i secoli d’oro nel Lazio, per i campi dove a suo tempo regnò Saturno” [51].
A questo punto siamo finalmente in grado di rispondere alla domanda che ci eravamo posti in precedenza, se cioè la congiunzione trentennale fra Saturno e le Pleiadi avvenuta nel 3 a.C. potesse avere per gli astronomi/astrologi di quell’epoca un’importanza maggiore rispetto a quelle che la avevano preceduta. La risposta è certamente positiva, perché questa congiunzione – avvenuta al culmine della transizione tra l’Era dell’Ariete e quella dei Pesci, in cui si attendeva più che mai il ritorno all’Età dell’Oro dopo le interminabili convulsioni politiche su cui ci siamo soffermati poco fa – fu la prima di quel tipo ad aver avuto luogo dopo i momenti cruciali segnati dal crollo dell’Egitto, dalla fine dell’ultima guerra civile e dal potere imperiale e pontificale assunto da Ottaviano Augusto (a cui fece seguito l’inaugurazione dell’Ara Pacis, dedicata alla Pace di Augusto, su cui ci soffermeremo tra poco).
Qui occorre anche sottolineare che sia Saturno che la sua controparte greca, Crono, presentano il duplice aspetto del dio celeste, signore dell’Età dell’Oro, e quello del pianeta dal ciclo trentennale. Non a caso infatti, nel passo di Plutarco da cui ha preso avvio questo studio, il pianeta protagonista della congiunzione di cui stiamo occupando è chiamato “stella di Crono”, il dio che nell’antichità era considerato anche un dio del tempo, data anche l’affinità del suo nome, ‘Kronos’, con la parola greca ‘khronos’, ‘tempo’. D’altronde la dimensione temporale legata al ciclo trentennale di Saturno/Crono – che, ripetiamo, è il dio della mitica Età dell’Oro sia nella mitologia romana (Saturno) che in quella greca (Crono) – è perfettamente coerente con questo quadro e pertanto l’incontro con le Pleiadi e Maia (sulla cui dimensione di dea della Terra, o Madre Terra, in diverse culture ci soffermeremo tra breve) contiene valenze simboliche che gli astronomi/astrologi del mondo antico avevano certamente ben presenti.
Non è dunque affatto irragionevole supporre che non solo i Magi, ma forse anche i sacerdoti romani al loro interno – magari anche sollecitati da Augusto, nominato Pontefice Massimo da pochi anni e certamente interessato, anche politicamente, a temi astronomici e astrologici che nell’antichità erano normalmente di competenza specifica della classe sacerdotale – abbiano dato risalto a questa congiunzione celeste e l’abbiano considerata come l’inizio dell’età dei Pesci (gli astrologi attuali invece datano in genere tale inizio all’anno 1 [52], a cui però non viene collegato alcun fenomeno astronomico degno di nota). Nulla però trapelò al di fuori della cerchia sacerdotale, a causa del tabù connesso allo strettissimo rapporto tra Roma e le Pleiadi, che, come vedremo tra poco, doveva essere tenuto assolutamente segreto: a pagarne le conseguenze fu poco tempo dopo il poeta Ovidio, che per aver violato questo segreto nell’8 d.C. fu condannato da Augusto all’esilio perpetuo, con l’obbligo di tacere sul motivo della condanna [53].
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