La stella di Betlemme e la congiunzione tra Saturno e le Pleiadi

La versione italiana di uno studio di Felice Vinci pubblicato sulla rivista scientifica americana “Journal of Anthropological and Archaeological Sciences”

Terza ed ultima parte di 3

L’importanza delle Pleiadi nel mondo antico

Nell’antica Mesopotamia “le Pleiadi sono tra i pochi corpi celesti che ricevono un culto, e ad esse sono dedicate preghiere specifiche. Dalle fonti emerge che le Pleiadi sono principalmente legate al movimento della luna, ed è interessante notare che l’elenco delle costellazioni dell’eclittica inizia proprio con le Pleiadi” [54]. Ciò attesta la loro importanza nel mondo antico. Fondamentali appaiono anche i loro rapporti con Roma, attestati non solo dalla data tradizionale di fondazione della città, il 21 aprile [55] – corrispondente alla data del loro sorgere annuale, secondo il calendario mesopotamico, nel primo giorno della costellazione di Ayāru [56] (il Toro) – ma anche dal fatto che, secondo il concetto tradizionale “come in alto, così in basso”, i Sette Colli di Roma erano considerati la proiezione sulla Terra delle sette Pleiadi [57] (Fig. 3).

In particolare, il Palatino, il colle centrale su cui Romolo fondò la città, è il corrispondente terrestre della stella centrale dell’ammasso, Maia – non a caso chiamata ‘Santissima Maia’ da Cicerone – che era la segreta dea protettrice della città, il cui nome era nascosto dietro il nome generico di ‘Bona Dea’ (‘la dea benevola’). Ciò spiega immediatamente il vero motivo – che fu tenuto rigorosamente segreto – della condanna del poeta Ovidio all’esilio perpetuo: il suo crimine fu quello di aver menzionato in un passaggio di una sua opera, i Fasti, scritto immediatamente prima della condanna, lo stretto rapporto tra Maia, le Pleiadi e la fondazione di Roma [58], che era assolutamente vietato rivelare per ragioni di sicurezza dello Stato romano, esposte da Plinio [59] (il quale in precedenza si era soffermato sulla vicenda di Valerio Sorano, condannato a morte e giustiziato nell’82 a.C. per aver rivelato pubblicamente il nome segreto della città e della sua dea protettrice [60]).

A attestare che dietro il titolo di ‘Bona Dea’ ci fosse proprio Maia è Macrobio, scrittore romano del V secolo d.C., quando il mondo pagano con i suoi vincoli di segretezza era ormai tramontato: “Secondo Cornelio Labeone, alle calende di maggio fu dedicato un tempio a Maia, cioè alla Terra, sotto il nome di Bona Dea” [61]. Insomma, Maia, la stella centrale delle Pleiadi, era la Madre Terra, che dal cielo si rifletteva sul Palatino ed era la dea protettrice della città (e forse non è un caso che una delle due cime del Palatino fosse chiamata dai Romani “Cermalus”, nome accostabile a Hermes, che secondo la mitologia greca era figlio di Maia e di Zeus). E a confermare l’identificazione di Maia con la dea tutelare di Roma è il fatto che ciò ha finalmente consentito di chiarire il significato, finora rimasto ignoto, del pannello con la raffigurazione della “Saturnia Tellus” [62] (Fig. 4) nell’Ara Pacis Augustae di Roma (un altare dedicato alla dea Pace, inaugurato dall’imperatore Augusto nel 9 a.C.).

Qui la figura centrale è Maia, augustamente velata, che tiene tra le braccia i gemelli Romolo e Remo, mentre le due figure femminili ai lati, in posizione subordinata, sono due dee greche: Leda (la madre dei gemelli Dioscuri, riconoscibile dal fatto che accanto a lei vi è un cigno: si tratta di Zeus, che l’amò assumendo le sembianze di un cigno) e Latona (la madre dei gemelli Apollo e Artemide, raffigurata con il drago che l’aveva perseguitata per impedirle di partorire). Inoltre, nella parte inferiore del pannello è raffigurato un toro con la testa alzata, davanti ad un agnello con la testa abbassata: è una chiara allusione al 21 aprile, data della fondazione di Roma, in cui la costellazione del Toro, di cui le Pleiadi sono le stelle più rappresentative, prende il posto dell’Ariete, che infatti ha la testa abbassata (non per caso il nome arabo dell’Ariete è Hamal, ‘agnello’).

Il significato della “Saturnia Tellus” si inserisce perfettamente nel contesto politico/ideologico legato alla creazione dell’Ara Pacis: infatti Roma, controparte terrestre di Maia a cui la dea/stella concedeva la sua protezione e probabilmente anche il suo nome (ma tutto ciò doveva rimanere assolutamente segreto al di fuori di una ristretta cerchia sacerdotale), rappresenta l’apice e il compimento della storia del mondo, superando persino l’importanza e la grandezza della civiltà greca, evocata dalle storie parallele di Leda e di Latona, qui raffigurate col seno scoperto ed in una dimensione quasi ancillare rispetto a Maia, sebbene fossero anch’esse madri di divini gemelli, figli di Zeus. Pertanto la composizione nel suo complesso rappresenta un omaggio a Maia, la grande dea protettrice di Roma, nonché all’imperatore Augusto, artefice della pace, del potere e della prosperità di Roma e del suo impero.

Ciò ben corrisponde all’idea che l’anno 3 a.C. – ossia la prima ricorrenza della congiunzione trentennale fra Saturno (l’antico dio signore dell’Età dell’Oro) e le Pleiadi (le celesti corrispondenti dei Sette Colli di Roma) successiva all’assunzione del totale controllo politico e religioso da parte di Ottaviano Augusto – potesse essere considerato l’inizio della nuova età dei Pesci.

Un altro indizio, seppur indiretto, dell’importanza di questa data, potrebbe essere a nostro avviso rinvenuto nella data tradizionale della fondazione di Roma: il 753 a.C., come stabilito da Marco Terenzio Varrone, grande studioso dell’antica Roma che nell’ultima parte della sua vita si guadagnò il favore di Ottaviano, che nel frattempo era diventato il signore di Roma. Ora, poiché i primi secoli della storia romana sono avvolti nella leggenda, è difficile comprendere quali criteri siano stati utilizzati da Varrone per stabilire questa data; tuttavia, considerati gli stretti legami di Roma con le Pleiadi, è del tutto ragionevole supporre che Varrone – il quale, essendo un uomo coltissimo, doveva ben conoscere l’importanza della congiunzione di Saturno con le Pleiadi – pensasse che non solo il giorno della sua fondazione, il 21 aprile, ma anche l’anno dovesse essere collegato alle Pleiadi. È probabile, quindi, che abbia pensato a una data anteriore alle congiunzioni del suo tempo di un multiplo di 30 anni, arrivando così all’anno 753 a.C. Ma certamente non avrebbe mai potuto rivelare pubblicamente la vera spiegazione astronomica di questo calcolo, poiché alla base vi era la questione tabù dell’innominabile rapporto tra Roma e le Pleiadi: basti pensare che, quando Varrone era giovane (aveva 34 anni), Valerio Sorano fu condannato a morte per aver osato trasgredire la regola del silenzio su questo argomento. Va altresì notato che in realtà nel 753 a.C. non si verificò alcuna congiunzione di quel tipo: infatti la rivoluzione di Saturno attorno al sole non dura esattamente 30 anni ma circa 29,5, il che nell’arco di sette secoli comporta uno sfasamento di diversi anni. In ogni caso, su tratta di una questione che merita ulteriori approfondimenti.

Tra le antiche città sui sette colli, oltre a Roma, anche Armagh e La Mecca offrono spunti di riflessione. Riguardo ad Armagh, la capitale religiosa dell’Irlanda in epoca precristiana, essa fu un importante sito reale nell’Irlanda gaelica fin da tempi molto remoti, con un grande monumento cerimoniale chiamato Emain Mhacha [63], che prende il nome da Macha, la grande dea degli Ulaidh, il popolo che diede il nome alla provincia dell’Ulster. Infatti, ‘Ard Mhacha’ significa “colle di Macha” (poi anglicizzato in Ardmagh prima di diventare il nome attuale) e corrisponde ad uno dei sette colli di Armagh. A tale proposito, qui potremmo anche chiederci se non abbia a che fare con Armageddon, il nome del luogo, finora mai identificato, dove ebbe luogo una mitica battaglia menzionata dall’Apocalisse di Giovanni [64]: infatti ‘dūn’ (dall’irlandese ‘dún’, ‘fortezza’) significa infatti qualcosa come ‘forte’ o ‘città fortificata’ su un’altura [65].

Per quanto riguarda la Mecca, la città santa dell’Islam, caratterizzata dalle ‘Sette Montagne Storiche Islamiche’ [66], la grafia ufficiale inglese saudita è ‘Makkah’ [67], accompagnata dalla locuzione ‘Al-Mukarramah’, che si traduce in ‘l’Onorata’ o ‘la Nobile’, a significare il suo venerabile status [68], il che ricorda da vicino la ‘Santissima Maia’ menzionata da Cicerone.

È anche sorprendente che nel mondo slavo la dea della Terra sia chiamata Mokosh o Makosh [69], che nel greco miceneo Ma-ka (traslitterato come Ma-ga) sia la Madre Terra [70] e che Maka sia la dea della Terra persino tra i Sioux Lakota [71] delle pianure americane! Ma perché sorprendersi? Le Pleiadi sono chiamate Makali’i [72] nelle Hawaii e Maya-Mayi tra gli aborigeni australiani del Nuovo Galles del Sud; queste ultime erano sette sorelle, due delle quali furono rapite da un guerriero, Warrumma o Warunna (un nome che ci sembra accostabile a quello di Orione), e poi fuggirono arrampicandosi su un pino che cresceva ininterrottamente verso il cielo, dove si riunirono alle altre sorelle [73].

Ma tornando ai Sioux (i quali talvolta esibiscono tratti somatici che sembrano più caucasici che asiatici), oltre a chiamare la dea della Terra ‘Maka’, chiamano il cielo ‘Skan’, quasi identico alla radice di ‘sky’, ‘cielo’ in lingua inglese (che deriva dall’antico nordico sky “nuvola”, dal proto-germanico *skeujam “nuvola, copertura nuvolosa”, dalla radice PIE *(s)keu- “coprire, nascondere” [74]) e pertanto potrebbe essere forse accostato al greco ‘skiá’, ‘ombra’, che ritroviamo anche in Omero.

È altresì significativo che Skan e Maka, il Cielo e la Terra, siano stati creati da ‘Wakan Tanka’ [75], il Grande Spirito che dà vita all’Universo e a tutte le creature, il cui nome a sua volta trova una sorprendente corrispondenza sia nel suono che nel significato nel nome di ‘Waaqa’ [76], che significa Dio nella lingua del popolo Oromo dell’Etiopia, quasi all’estremità orientale dell’Africa! Per inciso, poiché nella mitologia degli Ainu – un gruppo etnico del Giappone settentrionale che spesso presenta fisionomie di tipo caucasico – Wakka-us Kamuy è la divinità (“Kamuy”) dell’acqua dolce, questo ci induce a sospettare che il nome ‘Wakka’, simile sia a ‘Wakan’ che a ‘Waaqa’, sia accostabile al latino ‘aqua’ (da cui lo spagnolo ‘agua’ e l’italiano ‘acqua’) attraverso una suggestiva metafora, su cui gli specialisti dovrebbero fare gli opportuni approfondimenti, che farebbe corrispondere lo Spirito universale, che anima tutte le creature (Wakan-Waaqa), all’acqua, che consente di vivere ai pesci e alle altre creature acquatiche.

A questo punto, è plausibile che anche l’assonanza tra il nome dei Magi, astronomi e astrologi, e quelli di Maka-Makkah-Macha-Makali’i-Maia-Maya-Mayi – che abbiamo visto associato alle Pleiadi in tante culture diverse, lontane sia nello spazio che nel tempo, ma tutte accomunate dall’attribuire una grande importanza a queste sette stelle – non sia solo dovuta al caso. Si potrebbe infatti supporre che uno dei compiti primari degli astronomi più antichi fosse proprio quello di osservarle e studiarle, al punto che essi stessi, come pure le loro attività (pensiamo alla parola ‘magìa’, che deriva dal greco ‘mageía’) avrebbero potuto prendere il nome della stella principale dell’ammasso. Ciò ovviamente rende ancora più plausibile l’ipotesi proposta in questo articolo: insomma l’associazione dei Magi alle tre stelle della Cintura di Orione potrebbe appartenere a un antico retaggio mitico, comune a molti popoli, che potrebbe essere stato finalizzato a preservare il ricordo della posizione della stella Maia, della cui importanza per i nostri antenati abbiamo un gran numero di testimonianze, a partire dalle tre stelle della Cintura di Orione, facilmente identificabili nel cielo notturno invernale (che per l’appunto sono chiamate “I Re Magi” o “I Tre Magi” in varie culture).

In questa stessa chiave si può leggere anche il fatto che per i Ciukci della Siberia, Orione (che anche nei loro miti è un cacciatore) scocca una freccia rappresentata dalla stella Aldebaran [79]. Essa infatti, che è una stella molto luminosa, si trova quasi esattamente a metà della “linea di mira” tra Bellatrix – la stella della ‘clessidra’ di Orione che nel cielo notturno appare più vicina alle Pleiadi – e le Pleiadi stesse (Fig. 1). In sintesi, Aldebaran può essere considerata una vera e propria “freccia indicatrice” che, partendo da Orione, permette di individuare subito le Pleiadi nel cielo notturno.

Una storia non molto diversa si ritrova tra i polinesiani di Manuae (Isole Cook), secondo cui le Pleiadi erano inizialmente una stella, la più luminosa del cielo, ma poi un dio per punirla chiese l’aiuto di Sirio, che le scagliò contro Aldebaran, frantumandola in sei pezzi e generando le Pleiadi [80]. Un’eco di questo tipo di leggenda, presumibilmente molto antica, a nostro avviso si può forse ritrovare in tutt’altra parte del mondo: ci riferiamo alla Sartiglia, una festa tradizionale della città di Oristano, che si celebra ogni anno durante il Carnevale. La Sartiglia è una delle più antiche giostre equestri dell’area mediterranea, nel corso della quale uomini a cavallo, con il volto coperto da una maschera bianca, devono riuscire a trafiggere con una spada una stella appesa in alto al traguardo di una corsa equestre che si svolge per le vie centrali della città [81]. D’altronde vi sono buone ragioni per pensare che il loro capo, ‘su componidori’, il cavaliere che guida la corsa, rappresenti l’immagine di una divinità (o, forse, di una stella nel cielo): egli infatti non può toccare terra per tutta la durata della cerimonia, in cui ricopre addirittura un ruolo sacro, quello di benedire la folla con un particolare mazzo di fiori chiamato “sa Pippia ‘e Maju”, “la bimba di maggio” (un nome che potrebbe ricordare Maia, mentre il mazzo di fiori potrebbe richiamare l’aspetto dell’ammasso stellare delle Pleiadi).

Ma è possibile che anche la corrida spagnola (che sembra assomigliare più a un rito sacrificale che a un combattimento vero e proprio) abbia avuto origine nello stesso tipo di mito, ovvero l’immagine di Orione che nel cielo notturno fronteggia il Toro? Infatti le Pleiadi erano considerate la spalla del Toro [82], cioè il bersaglio che il matador deve colpire con la sua spada, come il Toro Celeste ucciso da Gilgamesh in un poema sumero [83], o il toro sacrificato a Poseidone Eliconio nell’Iliade [84], per non parlare del toro ucciso dai re dell’isola di Atlantide durante una solenne cerimonia che Platone descrive in dettaglio [85] (del resto, il nome di Atlantide deriva da Atlante, il mitico primo re dell’isola, che secondo la mitologia greca era padre di sette figlie che poi “ascesero al cielo con il nome di Pleiadi” [86]). E forse saremmo tentati di aggiungere a questa casistica la settima fatica di Ercole – quella in cui combatte contro il toro cretese – tenendo presente che in un passo dell’Odissea è presente una singolare immagine di Ercole con una straordinaria cintura che regge una spada [87], su cui Omero si sofferma a lungo. In realtà questo singolare personaggio sembra più simile a Orione che a Ercole, considerando che sotto la Cintura si trova un gruppo di stelle che formano una linea verticale, chiamata “la Spada di Orione”.

Insomma, il mito delle sette Pleiadi è diffuso ovunque, dai Sioux Lakota alle isole della Polinesia, ed è molto curioso che sembri presentare ovunque caratteristiche simili: esse sono quasi sempre sette – come in una leggenda del popolo Wurundjeri dell’Australia sud-orientale, secondo cui sarebbero il fuoco di sette sorelle, che portavano carboni ardenti all’estremità dei loro bastoni da scavo, ma poi diventarono le stelle luminose dell’ammasso delle Pleiadi [88] – sebbene ad occhio nudo se ne possano contare fino a dodici. Questa straordinaria diffusione sia del loro nome che dei miti ad essi collegati sembra rimandare a una civiltà preistorica globale basata sulla navigazione – di cui Platone ci ha lasciato il ricordo nel mito dell’isola Atlantide – di cui abbiamo cercato di mostrare la possibile storicità in un precedente lavoro [89]. D’altronde in questo quadro ben si inserisce il fatto che il contesto in cui Plutarco colloca la ricorrenza della congiunzione tra Saturno e le Pleiadi sia un antico mondo atlantico, lo stesso in cui Platone ambienta il mito di Atlantide.

Un altro aspetto, forse ancora più sorprendente, dei racconti in cui le Pleiadi sono protagoniste è che a volte si parla di contatti diretti tra di esse (oppure una ‘terra nel cielo’ ad esse collegata) e gli esseri umani. Ritroviamo questo tema ad esempio tra i Mono della Sierra Nevada, che raccontano di sei mogli che amavano le cipolle più dei loro mariti e ora vivono felici nella ‘terra nel cielo’ [90], o in una tradizione del Borneo, che parla di un albero che permette a un uomo di arrampicarsi fino al cielo e riportare utili semi dalla ‘terra delle Pleiadi’ [91]. Ma non meno singolare è l’idea, riscontrabile presso alcune popolazioni americane come le culture guatemalteche di Monte Alto, Ujuxte e Takalik Abaj [92], che i loro mitici antenati discendessero dalle Pleiadi; analogamente, in un racconto dei Wyandot, nativi americani della regione dei Grandi Laghi, sette ‘fanciulle cantanti’, figlie del Sole e della Luna, che vivevano nella Terra del Cielo, scesero sulla Terra e danzarono con i bambini umani [93]. Inoltre, un mito degli Ojibwe (un gruppo di nativi americani che parlano in lingua algonchina) racconta che essi giunsero dalle Pleiadi attraverso un passaggio tra la Terra e il ‘mondo delle stelle’ chiamato ‘Bagone-giizhig’ [94].

Ma pensiamo anche ai Dogon del Mali, nell’Africa occidentale, secondo i quali i loro antenati erano arrivati ​​sulla Terra in una sorta di arca volante, al cui interno erano raffigurate le Pleiadi nell’area ad essi riservata [95]. E che dire dei Banrawat, un gruppo etnico seminomade himalayano, che chiamano le Pleiadi ‘le sette cognate’ e quando le vedono apparire ogni anno sopra le loro montagne dicono di essere felici di rivedere i loro antichi parenti [96]? Queste curiose storie sembrano fare il paio con le affermazioni di coloro che sostengono che, tra le varie specie di esseri alieni dall’aspetto umanoide che visiterebbero la Terra, ve ne sarebbe una dall’aspetto molto simile a quello umano, che proverrebbe dalle Pleiadi [97].

Forse una traccia di questa nostalgia per un paradiso perduto situato nel cielo – ovvero una mitica Terra Madre celeste che, secondo diverse mitologie, si sarebbe trovata tra le Pleiadi – si potrebbe riscontrare in una frase contenuta in una nota preghiera cristiana di un monaco tedesco vissuto nell’XI secolo, Hermann di Reichenau, che fu anche astronomo e storico: “Noi esuli figli di Eva a te sospiriamo, gemendo e piangendo in questa valle di lacrime” [98]. Ciò potrebbe anche dipendere dalla percezione di non sentirsi ben adattati alla vita sulla Terra, come sembra evidenziare il terzo capitolo della Genesi allorché racconta che la traumatica espulsione dei nostri antenati dal Paradiso Terrestre comportò il dolore associato al parto, la fatica per procurarsi il cibo e la necessità di vestirsi e coprirsi di pelli.

Osserviamo anche che questa singolare idea che tra le stelle possa esserci una bellissima Terra primordiale – cioè un paradiso perduto dove avrebbe avuto origine la specie umana, di cui questo pianeta, dove i nostri antenati sarebbero stati relegati in un remoto passato e dove si conduce una vita faticosa e difficile, sarebbe solo un pallido riflesso – potrebbe essere all’origine di uno straordinario passo in cui Platone nel dialogo Fedone si sofferma sull’immagine di una meravigliosa Terra nel cielo, abitata da uomini e animali, incomparabilmente più bella del nostro mondo attuale: “La terra pura si trova nel cielo puro dove stanno gli astri (…) A chi la guardi dall’alto appare come una di quelle variopinte sfere di cuoio, divise in dodici spicchi, dai colori diversi, simili questi, appena, a quelli che di solito usano quaggiù i pittori. E quella terra lassù, tutta di questi colori è dipinta, ma molto più luminosi e più puri dei nostri: ora, infatti, è purpurea, di una meravigliosa bellezza, ora è color dell’oro o tutta bianca, più bianca del gesso e della neve, e gli altri colori, poi, di cui è composta, assai più numerosi e più belli di quanti noi ne abbiamo mai visti (…) Ma vi sono anche animali, diversi da quelli di qui, e uomini pure (…) Lì vi sono anche boschi sacri e templi, dove realmente abitano gli dei e si avverano oracoli e profezie, per cui, veramente, quegli uomini hanno contatti visibili e concreti rapporti con le divinità” [99].

Riteniamo che in futuro converrebbe approfondire queste questioni per comprendere la vera origine di questi racconti, così singolari e diffusi nei miti di popoli anche lontanissimi tra loro. Nel frattempo, ogni ipotesi è lasciata al lettore.

Conclusioni

In questo articolo abbiamo verificato che non mancano le ragioni per supporre che la stella dei Magi menzionata nel Vangelo di Matteo sia stata la congiunzione tra Saturno e le Pleiadi avvenuta nella primavera dell’anno 3 a.C. Bisogna infatti considerare da un lato l’importanza che secondo Plutarco un antico popolo atlantico attribuiva a questa congiunzione, dall’altro il fatto che le tre stelle della Cintura di Orione, quelle che indicano le Pleiadi, in varie parti del mondo fossero o siano tuttora chiamate “I Tre Re” o “I Re Magi”.

Se a ciò aggiungiamo l’attesa che a quel tempo si nutriva per l’arrivo dell’età dei Pesci, con la connessa speranza del ritorno della mitica Età dell’Oro, in una fase critica della storia umana che tra l’altro aveva visto da poco il crollo del Regno d’Egitto, possiamo ben comprendere cosa quella data potesse significare per chi allora si occupava di queste tematiche. In effetti, se proviamo a metterci nei panni di un antico astronomo/astrologo, quella congiunzione tra Saturno e le Pleiadi rappresentava in realtà l’incontro di due entità mitiche molto importanti: da una parte, il pianeta che portava il nome di Saturno, l’antico Re del Cielo nonché Signore della perduta Età dell’Oro, il cui ritorno era atteso con l’avvento dell’età dei Pesci (è un sentimento espresso con grande forza, e al tempo stesso con profonda umanità e delicatezza, da Virgilio nella IV Egloga); dall’altra, le Pleiadi, ovvero la ‘Santissima Maia’, la Madre Terra, la dea protettrice per eccellenza (e non è per caso, infatti, che ci siamo soffermati sulla sua figura nell’ultima parte di questo studio). Si trattò, insomma, di un incontro in Cielo tra due entità divine, sovrumane, una maschile e l’altra femminile, che, date le circostanze, assunse in quel particolare momento uno straordinario valore simbolico e da cui era lecito aspettarsi, quale controparte sulla Terra – “Come in alto, così in basso” – la nascita di un Bimbo Speciale, il futuro re di una nuova era di felicità e di benessere che i Magi cercavano “per adorarlo”.

Questa, a nostro avviso, è l’essenza del discorso rimasto a lungo nascosto dietro le parole del Vangelo di Matteo, ma che ancora affonda le sue radici nell’inconscio di molti esseri umani (il che spiega perché, dopo duemila anni, il motivo del Natale e della Stella di Betlemme continui ad esercitare un grande fascino).

In ogni caso, la grande distanza che separa le culture coinvolte nel presente studio attesta l’antichità di queste concezioni, avvalorando l’idea che esistesse una civiltà preistorica globale diffusa su tutto il pianeta, di cui Platone ci ha lasciato l’ultima memoria tramandandoci il mito di Atlantide, di cui quanto è qui emerso sembra rappresentare un’ulteriore conferma. Ciò tra l’altro implica che tale civiltà avesse una notevole dimestichezza con l’arte della navigazione (il che a sua volta presuppone una conoscenza approfondita degli astri e dei loro moti ciclici nella volta celeste, essenziale per determinare la posizione delle navi e calcolarne la rotta), come confermato da recenti studi sul megalitismo.

Riteniamo infine che sia utile e necessario approfondire le tematiche toccate in questo studio, le quali certamente richiedono ulteriori approfondimenti da parte degli specialisti a supporto dell’ipotesi qui proposta. Riterrei inoltre molto opportuno lavorare su tutti i temi legati all’importanza che molte culture del passato hanno attribuito alle Pleiadi e in particolare a Maia, la Madre Terra. Infatti i futuri studi su questi argomenti potrebbero forse gettare nuova luce sulla preistoria dell’umanità e contribuire ad indicare nuove prospettive per il futuro.

L’articolo originale in lingua inglese è leggibile sul sito https://lupinepublishers.com/anthropological-and-archaeological-sciences/pdf/JAAS.MS.ID.000346.pdf


Riferimenti bibliografici

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7. Plut. De Facie quae in Orbe Lunae Apparet, 941c.

8. Cfr. Plut. De Fac. 941a-942b.

9. Vinci F (2024) A Hypothesis on the Pillars of Heracles and their True Location, in JAAS Vol. 9 – Iss. 3, 202. (Versione italiana leggibile in www.agenziacomunica.net/2024/05/20/unipotesi-sulle-colonne-dercole-e-la-loro-reale-localizzazione/).

10. Plut. De Fac. 941a.

11. Plut. De Fac. 941d.

12. Vinci F (2006) The Baltic Origins of Homer’s Epic Tales, Inner Traditions, Rochester VT, p. 16.

13. Plut. De Fac. 941c. La Meotide corrisponde all’attuale Mar d’Azov (che, come afferma Plutarco, è più piccolo del Golfo del San Lorenzo).

14. Tsikritsis M (2016) Travelling from Canada to Carthage in 86 AD, Conference Paper.

15. The excellent knowledge of geography at the time of Plutarch (1st century AD) is also attested by his statement that the distance from the Moon to the Earth is “fifty-six times greater than the radius of the Earth” (De Facie 925d). In fact, multiplying the mean radius of the Earth (6,371 km) by 56, we obtain an Earth-Moon distance of 356,776 km, while their actual distance at perigee is 356,500 km. L’eccellente conoscenza della geografia al tempo di Plutarco (I secolo d.C.) è attestata anche dalla sua affermazione che la distanza tra la Luna e la Terra è “cinquantasei volte maggiore del raggio terrestre” (De Facie 925d): infatti, moltiplicando il raggio medio terrestre (6.371 km) per 56, otteniamo una distanza Terra-Luna di 356.776 km, mentre la loro distanza effettiva al perigeo è di 356.500 km.

16. Cfr. Griffin J B (1961) Lake Superior copper and the Indians: miscellaneous studies of Great Lakes prehistory. Università del Michigan, Ann Arbor MI.

17. Cfr. Castellani V (2005) “Quando il mare sommerse l’Europa”, Torino.

18. Cfr. Schulz Paulsson B (2019) Radiocarbon dates and Bayesian modeling support maritime diffusion model for megaliths in Europe, in PNAS, vol. 116/9/3465 (https://doi.org/10.1073/pnas.1813268116).

19. Cfr. Gwin P (2024) Misteri e segreti del cimitero del Sahara. in National Geographic Magazine, 9/2024, p. 84.

20. Cfr. Pinna M (1977) Climatologia, Torino.

21. de Santillana G, von Dechend H (2003) Il Mulino di Amleto, Milano, p. 239.

22. Plin. Nat. Hist. 16, 45.

23. “Alcione e Merope, Celeno e Taigete,/ Elettra e Sterope, insieme con la Santissima Maia” (Cic. Arat. 270-271).

24. Verderame L (2016) Pleiades in ancient Mesopotamia, in Mediterranean Archaeology and Archaeometry, Vol. 16, No 4.

25. Ashton E (1967) The Basuto: a social study of traditional and modern Lesotho. Londra, p. 130.

26. Bryant A (1970) The Zulu People as they were Before the White Man Came. New York, p. 251.

27. Cfr. Mintz M W (2011) The Philippines at the turn of the Sixteenth Century, Canberra.

28. Cfr. Aveni A (2001) Skywatchers of ancient Mexico. Austin TX. 

29. Per quanto riguarda il calendario Inca, “Il primo approccio (…) suggerisce che si tratti di un calendario lunare siderale basato sulle Pleiadi; Il secondo approccio propone che si tratti di un calendario luni-solare, probabilmente sincronizzato attraverso osservazioni siderali, in particolare utilizzando le Pleiadi”, Quijano Vodniza A J (2023)The Pleiades and the Agrarian and Ritual Calendar of the Incas, in Revista Colombiana de Antropología, vol.59, n.2, p. 118.

30. Malotki E (1983) Hopi time: a linguistic analysis of the temporal concepts in the Hopi language. Vol. 20. Berlino, p. 445.

31. De Goeje C H (1943) Philosophy, initiation and myths of the Indians of Guiana and adjacent countries. Leida, p. 27.

32. Cfr. Mātāmua R (2018) Matariki: the Star of the Year, Wellington.

33. Nissan E, Maiuri A, Vinci F (2019) Reflected in Heaven, Part Two: Ovid’s Evidence for a Motif, Shared by Rome and Jerusalem, of Material Features of the Metropolis of the Respective People Being Reflected in a Constellation in Heaven, Part Two, in MHNH, 19, pp. 87-166.

34. https://bifrost.it/FINNI/Fonti/Kalevala50.html

35. Luca 1, 32.

36. Hinckley A R (1936) Star-names and their meanings, New York, p. 316.

37.https://web.archive.org/web/20100129083441/http://www.psychohistorian.org/astronomy/ethnoastronomy/three_kings_cape_clouds.php

38. Miglietta A (2013) I segni del tempo, in Anthropos & Iatria XVII-1, Genova, p. 70.

39. https://web.archive.org/web/20050215131931/http://sepiensa.org.mx/contenidos/s_reyes/reyes.htm

40. https://web.archive.org/web/20131024111539/http://www.elnuevodia.com/tresreyesmagosenelcieloestanoche-1421862.html

41. Inno omerico a Hermes, 23.

42. Cfr. Steinmann A (2011) From Abraham to Paul: A Biblical Chronology. St. Louis, MO.

43. Filmer W (1966) The Chronology of the Reign of Herod the Great”, in The Journal of Theological Studies, 17(2):283.

44. Finegan J (1998) Handbook of Biblical Chronology: Principles of Time Reckoning in the Ancient World and Problems of Chronology in the Bible. Peabody MA, p. 301.

45. Ferri G (2010) Tutela Urbis, Stoccarda, p. 219.

46. 1 Enoch 21, 3-6, in Sacchi P (1981)Apocrifi dell’Antico Testamento, Torino, p. 498.

47. Giob. 38:31.

48. Cfr. https://www.theoi.com/Nymphe/NymphaiPleiades.html

49. Per questo calcolo Domenico Ienna ha utilizzato ‘Perseus’, un software di simulazione astronomica per Windows, progettato e realizzato da L. Fontana e F. Riccio. Livello e versione utilizzati: III, 1.13.4. Perseus utilizza il calendario gregoriano per le date dal 15 ottobre 1582 in poi, il calendario giuliano per le date precedenti. L’anno 3 a.C. trovato con Perseus corrisponde al 2 a.C. nel software ‘Stellarium’ (utilizzato da Paolo Colona) poiché quest’ultimo ha anche l’anno 0, che in realtà non esiste, quindi tutte le date a.C. devono sempre essere diminuite di 1. Ringraziamo il dott. Domenico Ienna e il prof. Paolo Colona per il loro contributo.

50. Virg. Ecl. 4, 4-7.

51. Virg. En. 6, 792-794.

,53. A questo proposito, Ovidio afferma: “La mia colpa devo tacerla” (“Culpa silenda mihi”; Trist. 2, 208).

54. Verderame L (2016) Pleiades in Ancient Mesopotamia, in Mediterranean Archaeology and Archaeometry, Vol. 16, No 4, p. 109.

55. Cfr. Vinci F, Maiuri M (2019) Le Pleiadi e la fondazione di Roma, in Appunti Romani di Filologia No 21, pp. 17-23; v. www.futuroquotidiano.com/wp-content/uploads/2018/07/Le-Pleiadi-e-la-fondazione-di-Roma-4.7.2018-def.pdf

56. Cfr. Verderame L (2016) Pleiades in Ancient Mesopotamia, in Mediterranean Archaeology and Archaeometry, Vol. 16, No 4.

57. Cfr. Vinci F, Maiuri M (2017) Mai dire Maia. Un’ipotesi sulla causa dell’esilio di Ovidio e sul nome segreto di Roma, in Appunti Romani di Filologia No 19, pp. 19-30; v. www.futuroquotidiano.com/wp-content/uploads/2018/04/Mai-dire-Maia-di-Felice-Vinci.pdf

58. Cfr. Ov. Fast. V, 81-106.

59. Plin. Nat. Hist. 38, 18.

60. Plin., Nat. Hist. 3, 65.

61. Macr. Satur. 1, 12, 21.

62. Cfr. Vinci F, Maiuri M (2023) La Saturnia Tellus e la dea Maia, in Folkloricum, Archive of Ancient Folklore, Roma 2023, v. www.folkloricum.it/la-saturnia-tellus-e-la-dea-maia/

63. Newman C (1998) Reflections on the making of a ‘royal site’ in early Ireland, in World Archaeology 30(1):127-141.

64. Apoc. Giov., 16:16.

65. Cfr. Gelling M (1984) Place Names in the Landscape, Worthing West Sussex.

66. https://theislamicinformation.com/travel/mountains-in-makkah-must-visit/

67. Long D E (2005) Culture and Customs of Saudi Arabia, Westport CT, p. 14.

68. https://thepilgrim.co/makkah-al-mukarramah/

69. Gaydukov V (2000). Идеология и практика славянского неоязычества (Ideologia e pratica del neopaganesimo slavo), Univ. Herzen, San Pietroburgo.

70. Beekes R (2009) Etymological Dictionary of Greek, Leida, p. 269.

71. Cfr. https://www.maggiereid.com/lakota/mytwho.htm, sub “Maka”.

72. Cfr. Beckwith M (1970) Hawaiian Mythology, Honolulu.

73. Cfr. D’Arcy P (1994) The Emu in the Sky: Stories about the Aboriginals and the day and night skies. Canberra.

74. https://www.etymonline.com/word/sky

75. https://en.wikipedia.org/wiki/Wakan_Tanka

76. Adam H M, Ford R (1997) Mending Rips in the Sky, Trenton NJ, p. 126.

77. Cfr. Jinam T et al. (2015) Unique characteristics of the Ainu population in Northern Japan, in Journal of Human Genetics, 60 (10): 565–571.

78. Cfr. Ashkenazy M (2003) Handbook of Japanese Mythology, Santa Barbara CA.

79. Staal J 1988 The New Patterns in the Sky, Newark OH.

80. Schaaf F (2008) The brightest stars: discovering the universe through the sky’s most brilliant stars, Hoboken NJ.

81. https://sardiniarevealed.com/sartiglia-carnival-oristano/

82. https://cielososcuros.com.mx/the-pleiades/

83. Tigay J (2002) The Evolution of the Gilgamesh Epic, Wauconda IL.

84. Om. Il. 20, 403-405.

85. Plat. Criz. 120c. Il sacrificio del toro descritto nel Crizia presenta notevoli analogie con il sacrificio della renna nel mondo lappone: anche in questo caso, un certo numero di animali è rinchiuso in un recinto, uno di essi viene catturato con lacci e dopo il sacrificio una parte del suo sangue, versato in una coppa, viene bevuto dallo sciamano che dirige il rito. Inoltre il muso della renna viene coperto con un telo prima di ucciderla. È forse da questo gesto, volto ad impedire all’animale di riconoscere il suo uccisore e al suo spirito di vendicarsi, che potrebbe aver avuto origine l’usanza del matador di far roteare la muleta davanti al muso del toro prima di colpirlo.

86. Diod. Sic. Bibliot. St. 1.60.

87. “Terribile era la cintura intorno al suo petto, una bandoliera d’oro su cui erano raffigurate cose meravigliose, orsi e cinghiali, leoni dagli occhi scintillanti, conflitti, battaglie, omicidi e stragi di uomini. Anche chi con la sua arte sapesse costruire quella cintura, mai piú potrebbe fare un’altra opera pari ad essa” (Om. Od. 11, 609-614).

88. Mudrooroo (2020) Aboriginal mythology, Londra, p. 35.

89. Cfr. Vinci F (2025) Striking Correspondences Between Plato’s Atlantis and Greenland, in J Anthro & Archeo Sci 10(3) – 2025. JAAS (Versione italiana leggibile in www.agenziacomunica.net/2025/02/17/le-straordinarie-corrispondenze-tra-latlantide-di-platone-e-la-groenlandia/).

90. Cfr. Monroe J G (1987) They dance in the sky. Native American star myths, Boston MA.

91. de Santillana G, von Dechend H (2003) Il Mulino di Amleto, Milano, p. 255.

92. Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Pleiades_in_folklore_and_literature

93. Connelley W E (1899) Wyandot Folk-lore, Topeka KS, pp. 109-111.

94. Cfr. Moose L, Moose M (2021) Bagone Giizhig: The Hole in the Sky, Brantford.

95. Griaule M (1968) Dio d’acqua, Milano, IV giornata.

96. Cfr. Fortier J (2009) Kings of the Forest: The cultural resilience of Himalayan hunter-gatherers. Honolulu HI.

97. Bryan C (1995) Close Encounters of the Fourth Kind: Alien Abduction, UFOs, and the Conference at M.I.T., Knopf, New York, pp. 30-31.

98. https://www.gregorianum.org/wiki/Salve_Regina_%28tono_simplex%29

99. Plat. Fed. 109b-111b (trad. E. Turolla).

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