Anna Pavlova: L’Eterna Sacerdotessa della Danza

Il leggendario viaggio artistico di Anna Pavlova attraverso la storia della danza, una testimonianza di grazia, leggerezza e devozione che continua a ispirare e incantare il mondo.

Cara signora Pavlova,

questa lettera è per dirle che in tutta la storia della danza, è la più bella, la più grande, la più celebre ma anche la più misteriosa, la più mitica. È come Greta Garbo; e tuttavia non è il cinema di celluloide che la riporta a noi ma piuttosto il film delle nostre notti bianche, quando sogniamo le sue danze eteree che hanno conquistato il mondo.

Si, io sogno il suo sinuoso collo di cigno, evocando la nostalgia dell’autunno che si avvicenda al fascino delle sue Arlecchinate.

Principessa degli incanti di San Pietroburgo, silfide di Djaghilev al Théâtre du Châtelet nel 1909, dove era adorata da Cocteau.

Casella di testo: Anna Pavlova - ph: Harold Cazneaux, 1926Ha diffuso la sua arte nel mondo come si diffonde un rosario, con fervore e convinzione.

Ha conquistato il pubblico, ogni pubblico, ha predicato la danza come una religione.

Cinquemila chilometri, di teatro in teatro, percorsi in treno, in nave, seguita dai suoi apostoli, i danzatori del Balletto, dalle sue costumiste, che ogni sera facevano di lei la grande sacerdotessa di un’arte semplice, diretta, forte e raffinata: la Danza.

(Roland Petit)

È questa la lettera immaginaria che Roland Petit scrisse ad Anna Pavlova.

Nata il 12 febbraio del 1881a San Pietroburgo, Anna Pavlova entrò all’Accademia Imperiale del Balletto a soli 10 anni. Subito dopo il diploma, già molto in vista nell’ambiente del balletto e della danza, fu scritturata dalla compagnia del Teatro Mariinskij, dove, in soli 6 anni divenne, nel 1906, Prima ballerina, dopo aver affrontato con successo quasi tutti i grandi capolavori del repertorio classico.

Nel 1907, per un concerto di danza in casa di facoltosi aristocratici, chiese al suo collega di lavoro al Mariinskij, il giovane Michel Fokine, di crearle un assolo e lui le confezionò in poche ore La morte del cigno, su musica tratta da Il carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns. Fu un trionfo e finì col diventare quasi il suo emblema lungo tutta la sua carriera. Estremamente lontana da tutto ciò che era vistoso e vivace, Anna Pavlova, con la sua vita privata impeccabile, la sua immagine elegante, signorile e pudica e la sua aurea poetica quasi irraggiungibile, ebbe, fra i tanti meriti più strettamente artistici, anche quello di restituire la vera degnità alla professione di ballerina.

La Pavlova divenne celebre per la grande leggerezza e la grazia delle sue interpretazioni. Alla fine dell’800 le ballerine dovevano essere forti tecnicamente e questo in genere significava un corpo compatto, muscoloso e forte anch’esso. La Pavlova invece era magra di aspetto delicato ed eterea, perfetta di ruoli romantici come quello di Giselle.

Il suo piede era estremamente delicato, per questo motivo rafforzò le scarpe da punta, aggiungendo un pezzo di cuoio sulla suola.

Mentre rientrava da una vacanza e si apprestava ad affrontare una nuova tournée, il treno che la portava destinazione si fermò per un incidente, la Pavlova, che indossava solo un leggero cappotto sopra un vestito di seta, camminò nella neve lungo binari, per vedere cosa fosse successo. Questo la fece ammalare e le fu fatale. Il decesso avvenne 23 gennaio del 1931, pochi giorni prima del 50º compleanno, la sua ultima richiesta fu tenere di nuovo in mano il suo costume da scena del cigno.

Seguendo le tradizioni del balletto, il giorno della successiva rappresentazione lo spettacolo andò in scena regolarmente con un unico faro seguipersona, che si muoveva, illuminando il palco vuoto nei posti dove avrebbe dovuto essere la ballerina. Questa tipologia di omaggio alla ballerina scomparsa viene ripreso anche nelle scene finali del film “Scarpette rosse” (1948).

Leave a Reply

Your email address will not be published.