Brad Pitt torna a farci correre

Cosa dire di questo film sulla Formula 1? Innanzitutto, esso ha spezzato un periodo insopportabilmente lungo nel quale l’attrattiva delle sale cinematografiche si era fatta decisamente bassa. Difatti, occorre ricordare qui ancora una volta come il decennio nel quale ci troviamo, dal 2020 ad oggi, tragicamente abbia coinciso con un crollo verticale della qualità dei film e delle serie televisive, laddove le poche eccezioni confermano la regola. Questo fenomeno è dovuto a molti fattori che non andrò adesso ad elencare, piuttosto vorrei ricordare come oggi, grazie ai potenti mezzi tecnologici, i cinefili possano attingere più o meno all’intero patrimonio cinematografico internazionale di tutti i tempi, ragione per la quale anche un ottimo film deve faticare molto di più, rispetto a 20 anni fa, anche solo per essere notato. Figuriamoci poi quando si tratta di opere scadenti. Per questo, è davvero un complimento quello che rivolgo al nuovo film con Brad Pitt, che veramente ha creato in me l’aspettativa e l’attesa di recarsi in sala, sicuro che si sarebbe trattato, come minimo, di ottimo intrattenimento. E non sono rimasto deluso. 

Il film, infatti, è già degno di nota per la presenza di due dei più importanti attori degli ultimi decenni, Pitt e Javier Bardem, una coppia che funziona anche più del previsto. Ad essi, si aggiunge l’ottima attrice irlandese Kerry Condon, che dopo una lunga e notevole gavetta sta finalmente ottenendo il riconoscimento che merita. Ad essi si aggiunge la sfilata dei veri campioni di Formula 1, che danno a tratti un tono quasi documentaristico al film. Ma il vero protagonista è il regista, Joseph Kosinski, cinquantenne regista americano che negli ultimi anni è riuscito a farsi notare, soprattutto per una qualità: riuscire a riproporre prodotti del passato. In due casi, si è trattato proprio di dirigere i seguiti, a decenni di distanza, di due film degli anni Ottanta, “Tron” (1982) e “Top Gun” (1986). Entrambi i seguiti realizzati da Kosinski, rispettivamente “Tron: Legacy” (2010) e “Top Gun: Maverick” (2022) sono molto apprezzabili, in particolare dal punto di vista estetico. Infatti, il regista è riuscito a preservare lo spirito originale dei film trasponendolo nel contesto attuale, con una gestione ottimale delle scene d’azione e degli effetti speciali. Si è trattato, in entrambi i casi, di un recupero più che di una rielaborazione. L’idea infatti era quella di dare nuova vita, di reintrodurre, un certo modo di fare film che rischiava di andare perduto per sempre. Esso riguarda anche la scrittura delle sceneggiature, l’interpretazione attoriale e, ancora di più, l’appagamento di un certo tipo di passione da parte del pubblico, di un’aspettativa che dopo essere stata coltivata e nutrita per decenni è stata brutalmente tradita, come dicevo, negli ultimi anni.

“F1” per certi versi va anche oltre, scavando ancora più indietro fino a riferirsi chiaramente a Steve McQueen e in particolare a “Le 24 ore di Le Mans” (1971), riferimento già esplicito nell’ottimo film del 2019 “Le Mans ’66 – La grande sfida”, con Matt Damon e Christian Bale e diretto da James Mangold. Inoltre, “F1” consolida ulteriormente un certo tipo di recitazione che Brad Pitt ci sta proponendo da qualche anno in diversi film, quasi si trattasse di sfumature diverse dello stesso personaggio. Esso ha anche ormai la sua inquadratura di riferimento, quella di Brad Pitt al volante inquadrato dal punto di vista del passeggero accanto. Questo “personaggio” è già presente, come minimo, in “L’arte di vincere” (2011) e in “C’era una volta… a Hollywood” (2019). Si tratta, in sostanza, dell’incarnazione di un certo tipo di mascolinità, tutt’altro che perfetta ma forse indispensabile, che viene presa particolarmente di mira da alcune potenti ideologie.

Il film ha anche dei punti deboli. In particolare, la prima parte è superiore alla seconda, troppo ingombra e tecnicistica. Inoltre, alcuni spunti interessanti, indipendenti dalla potente spettacolarità di quasi tutto il film, si perdono all’interno della narrazione, che finisce per assomigliare pericolosamente ad una enorme operazione autocelebrativa da parte delle case automobilistiche e dei miliardi che orbitano intorno alle corse. In conclusione, è un film leggero e piacevole, ma anche un’occasione persa per fare molto di più. 

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