Poesia romantica e tragica su una giovane che cercava se stessa nel delirio della droga

Credeva di volare, giù dal burrone,
con le braccia aperte come ali d’aquilone,
mentre il mondo urlava, e lei non lo sentiva,
nell’eco stonato di una fuga cattiva.
Aveva scoperto un giorno, senza un perché,
che dentro di lei viveva qualcun altro.
Diversa, dicevano, sbagliata, qualcuno,
ma lei era solo una stella senza nessun fiume.
Il suo sorriso era vetro, il suo sguardo un abisso,
e nelle vene correva un cielo finto e omesso.
Le mani tremavano, ma non per paura:
cercava la via, trovava la chiusura.
La droga… una carezza che mentiva bene,
promettendo libertà a chi vive in catene.
E poi un salto nel vuoto l’ha fatta sentire,
per un attimo sola, infinita, leggera… e sparire.
Quel burrone non era un confine del mondo,
ma il punto esatto dove il sogno è più fondo.
Pensava fosse aria, pensava fosse cielo,
era solo pietra, e fine del volo.
Ora dorme là sotto, tra muschi e silenzi,
ma il suo nome rimbalza tra i venti indecenti.
E noi che restiamo – noi che l’amammo –
scriviamo di lei, come fosse un ramo
che cade, e rinasce ogni anno in poesia,
per dirle: non eri sbagliata,
eri solo un’altra poesia.

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