L’importanza del principio di sussidiarieta’ nella riforma del terzo settore

Un principio dalle radici antiche che può aiutare i nuovi bisogni di welfare espressi dalla società moderna.

di Federico Giannone
Presidente della Fondazione Opera Divin Redentore

In occasione dell’entrata in vigore della cosiddetta Riforma del Terzo Settore si è sentito parlare spesso di una applicazione riuscita del “principio di sussidiarietà”. Se ne discute il più delle volte con cognizione di causa, altre volte viene citato in maniera impropria e fuorviante. Per questo può essere utile inquadrare sinteticamente tale concetto giuridico per poi collegarlo alla Legge delega 106/2016, quella che definisce il terzo settore come il complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi, in coerenza con  le finalità stabilite nei rispettivi statuti o atti costitutivi.

Il termine «sussidiarietà» deriva dal latino «subsidium», traducibile con soccorso, riserva e veniva impiegato nel linguaggio militare per indicare le truppe di riserva nell’antica Roma. Successivamente i vocaboli «sussidiare» e «sussidio» sono entrati nella lingua italiana ad evocare, generalmente, l’idea di una funzione ausiliare.

Il concetto di sussidiarietà assume poi varie declinazioni dal momento che è possibile distinguere tra sussidiarietà verticale, orizzontale, positiva e negativa. 

In sintesi il principio di sussidiarietà in senso verticale attiene ai rapporti tra i diversi livelli territoriali di potere, implicando, da un lato, che lo svolgimento di funzioni pubbliche debba essere svolto al livello più vicino ai cittadini, dall’altro, che tali funzioni vengano attratte dal livello territorialmente superiore solo laddove questo sia in grado di svolgerle meglio di quello di livello inferiore.

In tal senso questo principio appare relativamente recente per l’ordinamento costituzionale italiano, atteso che vi ha trovato ingresso soltanto con la riforma del Titolo V della parte II Costituzione, nell’articolo 118, modificato dalla L. cost. n. 3/2001, che al primo comma recita: «le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza».

Per quanto concerne la sussidiarietà verticale essa si esplica con riferimento alla distribuzione di competenze amministrative tra diversi livelli istituzionali: in campo sovranazionale attiene al rapporto Unione Europa-Stati membri, mentre sul piano interno tra Stato–Regioni ed autonomie locali. La sussidiarietà orizzontale si svolge, invece, all’interno del perimetro tra autorità e libertà, partendo dal presupposto che alla cura dei bisogni collettivi e delle attività di interesse generale possano provvedere direttamente i privati cittadini sia come singoli, sia come associati, lasciando ai pubblici poteri un intervento sussidiario di programmazione, di coordinamento ed eventualmente di gestione.

La direzione positiva della sussidiarietà consiste nel dovere dei livelli istituzionali superiori di supplire a quelli inferiori nel caso in cui essi non riescano a garantire il conseguimento di un certo risultato, e nel dovere dei poteri pubblici di intervenire in sostegno della società civile qualora essa non sia in grado di raggiungere da sola determinati obiettivi di interesse generale. La direzione negativa della sussidiarietà afferisce al dovere dei livelli superiori di governo di non sostituirsi a quelli inferiori nell’espletamento di funzioni che possono essere da questi ultimi autonomamente esercitate, oltre che all’analogo dovere delle istituzioni pubbliche di non interferire indebitamente nelle attività della società civile.

Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della Chiesa

Vale la pena di ricordare che il concetto di sussidiarietà orizzontale venne per la prima volta formulato in maniera chiara dalla dottrina sociale della Chiesa nelle encicliche Rerum novarum del 1891 e Quadragesimo anno del 1931. Secondo tale principio, una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1883). In altre parole, le istituzioni sociali dovrebbero essere il più piccole possibile ma abbastanza grandi da poter difendere il bene comune. La difesa nazionale, ad esempio, spetta al Governo, perché non potrebbe essere gestita facilmente a un livello inferiore. Dall’altro lato, uno Stato federale fondato sul welfare che cerca di far fronte a tutte le necessità umane a livello macrocosmico è un esempio di violazione del principio di sussidiarietà.

Il principio di sussidiarietà vede anche implicati due principi cardine dell’ordinamento costituzionale: la tutela che l’articolo 2 accorda alle formazioni sociali ed il principio di uguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell’articolo 3.

In base all’articolo 2 della Costituzione «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».  Tale norma viene spesso considerata quale premessa del principio di sussidiarietà orizzontale costituzionalmente riconosciuto, in quanto l’appartenenza ad una comunità porta con sé diritti ai quali si accompagnano anche dei doveri, nell’ambito di un rapporto collaborativo con le amministrazioni per la soluzione di problemi di interesse generale. L’articolo 3, dopo aver sancito al primo comma che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (cd. principio di eguaglianza formale), al comma secondo stabilisce che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (cd. principio di eguaglianza sostanziale).

Tratti essenziali della riforma del Terzo Settore

Dati questi presupposti si capisce come il principio di sussidiarietà trovi un ulteriore spazio di azione nella Legge di riforma del terzo settore che norma in un solo testo tutte le tipologie di organizzazioni denominate “enti del Terzo settore (Ets)”. Nasce, così, una definizione comune per soggetti diversi, dalle piccole organizzazioni, le reti nazionali, dalle cooperative sociali agli enti filantropici. Si tratta di associazioni, fondazioni o altri enti di carattere privato diverso dalla società, che svolgono una o più attività di interesse generale  in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, accomunati dall’iscrizione al registro unico nazionale del terzo settore (Runts) e che perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale senza scopo di lucro. Le tipologie previste sono sette: organizzazioni di volontariato (Odv); associazioni di promozione sociale (Aps); imprese sociali (incluse le attuali cooperative sociali); enti filantropici; reti associative; società di mutuo soccorso; altri enti. Viene definito un confine preciso, quindi, che lascia fuori soggetti come le amministrazioni pubbliche, le fondazioni di origine bancaria, i partiti, i sindacati, le associazioni professionali, di categoria e di datori di lavoro. 

Al centro del terzo settore vi è lo svolgimento di attività di interesse generale con un elenco che mette ordine nelle attività consuete del non profit (dalla sanità all’assistenza, dall’istruzione all’ambiente) e ne aggiunge alcune emerse negli ultimi anni (housing, agricoltura sociale, legalità, commercio equo ecc.). Il registro unico nazionale del terzo settore (Runts) sostituisce i registri territoriali, ha sede presso il Ministero delle Politiche sociali ma viene gestito e aggiornato a livello regionale. La legge prevede la costituzione del Consiglio nazionale del Terzo settore, un organismo di una trentina di componenti  che rappresenta l’organo consultivo per l’armonizzazione legislativa dell’intera materia, e la Cabina di regia, con funzione di coordinamento delle politiche di governo.

Il  ruolo del volontariato negli Ets è centrale  e diventa elemento caratterizzante di tutto il sistema. Un intero capitolo del codice del terzo settore è dedicato proprio alla sua promozione, un impegno per tutta la società a partire dalla pubblica amministrazione. Diventare Ets implica il rispetto di una serie di obblighi su democrazia interna, trasparenza, rapporti di lavoro, assicurazione dei volontari, destinazione di eventuali utili, a fronte di esenzioni e vantaggi economici e fiscali, anche sotto forma di incentivi. 

Viene riconosciuto e normato anche il rapporto tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore, coinvolgendo attivamente quest’ultimi nella programmazione e nella gestione di servizi. Beni mobili e immobili, inoltre, possono essere ceduti senza oneri alle associazioni per manifestazioni o in comodato d’uso gratuito come sedi o a canone agevolato per la riqualificazione. La riforma riconosce e potenzia il ruolo del Centri di servizio per il volontariato (Csv) che diventano 49 e allargano la propria platea di riferimento offrendo servizi a tutti i “volontari negli Enti del Terzo settore”, e non più solo con quelli delle organizzazioni di volontariato definite dalla legge 266/91. Viene poi  rilanciato il ruolo strategico delle imprese sociali, ribadendo l’importanza del Terzo settore quale motore strategico di una nuova economia, responsabile e solidale. Nuove regole anche per il 5 per mille, storico strumento di sostegno del non profit, che si apre a tutti gli enti del Terzo settore iscritti al registro unico nazionale, snellendo alcune procedure burocratiche, accelerandone i tempi di erogazione e modificandone le soglie minime. Infine il Servizio civile diventa universale con un apposito decreto, riorganizzato nella sua governance, rappresentanza, sistema di finanziamento e organizzazione e  per il finanziamento delle attività degli enti del terzo settore utilizzando risorse private è stata creata la Fondazione Italia Sociale.

Da tutti questi elementi si comprende come il principio di sussidiarietà stia trovando nuovi e concreti spazi nel nostro ordinamento giuridico e come possa diventare un utile strumento per dare una risposta alla crisi economica del mondo Occidentale, all’invecchiamento della popolazione e alla sostenibilità del Welfare State. 

Bibliografia

ANCONELLI M., SARUIS T., MICHIARA P. (2018), Un lungo “travaglio” istituzionale: sussidiarietà e dimensione territoriale del welfare, in Autonomie locali e servizi sociali, 1, p. 3 ss.;

BRIGANTI R. (2018), La Riforma della disciplina del “Terzo settore” tra sussidiarietà orizzontale e impresa sociale, in Notariato, 5, p.1 ss.;

D’ATENA A. (1997), Il principio di sussidiarietà nella Costituzione italiana, in Riv. it. dir. pubbl. com., p. 603

MASSA PINTO I. (2003), Il principio di sussidiarietà. Profili storici e costituzionali, Jovene, Napoli;

SANCHINI F. (2021), Profili costituzionali del Terzo settore, Giuffrè, Milano;

Leave a Reply

Your email address will not be published.