” L’oscurità della fede è una prova della sua perfezione” (Thomas Merton)

La fede è un dono, mantenerla è una grazia.

Nella letteratura dei primi del Novecento, tra i tanti autori in cammino verso una ricerca interiore spirituale, ce ne sono due, Gabriele D’Annunzio e Guido Gozzano, a volte antitetici, ma anche orientati verso atteggiamenti analoghi.

Guido Gozzano a venti anni, nel 1903, scrivendo all’amico Fausto Graziani, si professava “ateo”, aggiungendo: “perché – tu lo sai- io non credo”. Sette anni dopo, il 22 ottobre 1910, in una lettera al direttore del quotidiano “Il Momento”, rovescia la prima dichiarazione: “Oggi credo nello spirito, sento, intendo in me la vita dello spirito (…) Non so se sia questa la mia via di Damasco, né se mi porti in avvenire a una fede dogmatica, ma sento che questo è la via della salute (…). In una lirica tratta dai Colloqui, Totò Merùmeni, il protagonista della composizione, l’alter ego del poeta, ad un certo punto così si esprime: “- Chiuso in sé stesso, medita, s’accresce, esplora, intende/ la vita dello Spirito che non intese prima”.

Poco conosciuta è invece la sceneggiatura di Gozzano per un film, “San Francesco”, terminata nell’estate del 1915, che mai vide la luce, per la morte prematura dell’autore, a soli trentatré anni, nell’agosto del 1916 e per lo scoppio della guerra mondiale, che esigeva tematiche più realistiche ed eroiche. Il “San Francesco” costituirà però una riflessione interiore, un approdo convinto nell’ambito della fede, la conclusione di una ricerca, tanto che, approssimandosi la morte, Gozzano volle ricevere i sacramenti e riconciliarsi con Dio e la Chiesa cattolica.

Su di un altro binario, su un registro per certi versi opposto e parallelo, si snoda il cammino di ricerca interiore del vate D’Annunzio. Senza soffermarsi sull’ansia dissacratoria dello scrittore, sul suo edonismo, estetismo, panismo, soluzioni che tutte conducono ad un esigente materialismo, la dimensione spirituale è presente nella vita del Pescarese, certo più verso la fine della sua esistenza, quando i richiami della fede materna, saranno più vividi, per la paura della morte, precedentemente affrontata con spavalderia. In comune con Gozzano c’è l’attrazione per San Francesco, non tanto il mistico, quanto il “combattente” che si reca a Damietta per convertire il sultano, “il poeta” del Cantico delle creature, da lui chiamato l’“Orfeo cristiano”, del quale riprende il verso nella formula della lode, né La sera fiesolana: “Laudata sii pel tuo viso di perla / o sera”. I richiami a Francesco d’Assisi sono però numerosi: la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1917, (anniversario della morte del Santo), bombarda la base navale di Cattaro; trasforma la sua residenza a Gardone Riviera, in una sorta di convento; acceso dal misticismo di Francesco, si dichiara terziario francescano… Vorrei però concludere il collegamento tra D’Annunzio e la fede, con un documento poco noto, la sua lettera a Padre Pio, del 28 novembre 1924, ritrovata nel suo archivio del Vittoriale, giunta a destinazione solo nel 1955 (sic!), come dichiarò l’assistente del Santo di Pietrelcina, padre Gerardo Di Flumeri. Questo il testo; “Mio fratello…mi è testimonianza della tua purità e del tuo acume di Veggente, l’aver consentito ad un colloquio fraterno con colui che non cessa di cercare coraggiosamente sé medesimo…Già conosco il pregio della tua anima, Padre Pio e son certo che Francesco ci sorriderà…Ave. Pax et bonum. Malum et pax”. Certamente l’incontro non avvenne e forse anche questa lettera fu un “fervente” esercizio letterario, un mistico desiderio, una “contraffazione” che esprimeva un desiderio.

Gozzano e D’Annunzio, due scrittori, ma in fondo due uomini come noi, alla ricerca di qualcosa che desse un senso alla vita, a volte cercato e trovato al termine dell’esistenza, quando le certezze materiali vengono meno…

Mi sembra coerente, a questo punto, concludere come ho iniziato, con la seconda parte della frase di Thomas Merton sulla fede: “… E’ oscura per il nostro spirito, perché oltrepassa infinitamente la sua debolezza”.

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