“…Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della
sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!”
Le sue montagne, le montagne di Primo Levi, le Alpi, in un ricordo incancellabile, qui intrecciato con la vetta
“bruna” del Purgatorio, che fu fatale per Ulisse, come Dante lo descrive nel XXVI canto dell’Inferno, che lo
scrittore e chimico piemontese recita al compagno di sventura, nel lager, Pikolo.
In questo episodio di Se questo è un uomo, all’inizio comparivano i Carpazi innevati, in un chiaro cielo di giugno, una natura bellissima, uno scenario, sfondo di una realtà “orrenda”. La memoria si sforza di recuperare le conoscenze letterarie di un tempo, in un luogo, il campo di sterminio di Auschwitz, nel quale Levi sconta la doppia “colpa” di essere ebreo e oppositore di un regime dittatoriale imposto a gran parte d’Europa.
Il famoso verso della Commedia. “fatti non foste a viver come bruti”, ci rimanda immediatamente alla
brutalità dei tormenti nel lager, all’annientamento dell’uomo, ridotto ad un numero tatuato sulla pelle, ad
una bestia, costretto a concentrarsi solo sui bisogni primari.
Siamo lontani da quel tempo? Ci illudiamo di sì, quella è storia passata…ma non è così! La voce di chi soffre
le ingiustizie razziali, le persecuzioni, perché ha un pensiero differente, perché non si piega ad un regime,
ad una volontà prepotente e delirante, è storia anche di oggi, quando l’opposizione è soffocata e la
prigionia è a volte un “lager-tomba”.
La privazione della libertà è radicata in alcune società, che giustificano, in nome della tradizione, della
religione, l’annullamento della volontà: penso alle spose-bambine, alle mutilazioni genitali o più
semplicemente alle sofferenze, che ho raccolto, di ragazze che non possono sposare chi amano, perché nel
loro paese non è permesso, in nome di un patriarcato che non è stato minimamente scalfito, malgrado gli
anni moderni.
La scuola, la cultura, occasione di riscatto? Primo Levi recitava a Pikolo i versi della Divina Commedia, per
non perdere, almeno interiormente, la propria dignità umana, ma poi ripiombava nella infernale realtà del
lager: non vorrei che la “contraddizione” cultura contro barbarie, barbarie contro cultura, si annullasse in
virtù della contrapposizione dei termini e la conclusione dell’episodio della fine di Ulisse e dei suoi
compagni, si ripetesse, facessero annegare molte speranze, in un pessimismo inevitabile, senza appello:
“… infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso”.
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