Sospensione del procedimento con messa alla prova: una lettura a quasi dieci anni dalla legge 67/2014

a cura di Antonella Di Spena, Direttore Ufficio III della Direzione generale per l’esecuzione penale esterna e di messa alla prova del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità.

Sono passati quasi dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 67, del 28 aprile 2014, recante: “Deleghe al governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”, primo importante tassello di una nuova concezione della giustizia, volta all’individuazione di una giusta proporzione della sanzione penale in relazione al bene violato, alla gravità del comportamento e alla pericolosità sociale del soggetto. 

Per ovviare alla drammaticità del sovraffollamento carcerario, la prima parte della legge delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema delle pene detentive non carcerarie, al fine di conferire effettività al principio del minor sacrificio possibile della libertà personale e attuando il principio secondo il quale la detenzione in carcere deve essere considerata come una extrema ratio, limitata ai delitti gravi e alla quale ricorrere quando altre sanzioni risultino inefficaci, garantendo, comunque le esigenze di sicurezza sociale. Il legislatore ha favorito l’avvio di una concezione più avanzata della pena, in grado di garantire il principio costituzionale della sua finalità rieducativa, senza mai perdere di vista le valenze retributive e preventive che la pena deve sempre e comunque mantenere, e, contestualmente, ha rafforzato il ricorso alle misure di comunità, nella consapevolezza che il reinserimento nella collettività di un condannato, attraverso il suo recupero, oltre ad essere una questione umanitaria, riveste un significato di prevenzione generale. 

Accanto all’esigenza di trovare soluzioni deflattive per gli istituti penitenziari, vi è anche quella sollecitata dai documenti provenienti dall’Unione europea1 di individuare istituti alternativi al processo penale. A tale esigenza risponde la seconda parte della legge, che introduce nel nostro ordinamento la sospensione del procedimento con messa alla prova2, che costituisce istituto di diritto sostanziale, inserito nel contesto del procedimento di cognizione penale, quale strumento, utilizzabile una sola volta, per evitare la celebrazione di giudizio che possa ineluttabilmente portare alla condanna. Lungi dall’essere un istituto clemenziale, permette ai giudici di concentrarsi sui delitti che creano maggiore allarme sociale. Risponde quindi ad una finalità deflattiva per gli uffici giudiziari, realizzata sia attraverso un percorso che contempera due opposte esigenze (quella impositiva di obblighi e prescrizioni e quella specialpreventiva e risarcitoria) sia prevedendo espressamente che il termine di prescrizione resti sospeso nel corso dello svolgimento della misura, al fine di eludere richieste pretestuose o con intenti dilatori. 

L’istituto della messa alla prova dei maggiorenni, che risponde ad una logica di mitezza e umanità del sistema penale, pur costituendo l’estensione di uno strumento già da diversi anni sperimentato nel rito penale minorile3, presenta sostanziali differenze qualitative e quantitative sia nella progettualità globale, sia riguardo alla tipologia delle prestazioni. Esso mira ad adeguarsi alle esigenze tipiche del rito ordinario, in modo da coniugare le finalità risocializzanti con quelle preventive. Realizza una rinuncia alla potestà punitiva dello Stato, condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata ed assistita. Consiste, quindi, in una forma di probation giudiziale che tende ad avvicinarsi ai più avanzati sistemi penali. 

Prima di delineare più dettagliatamente le novità introdotte dalla messa alla prova per i maggiorenni, al fine di comprenderne meglio la portata, si rende necessario, seppur brevemente, ripercorrere l’evoluzione storica del probation, che, in altri paesi, vanta una lunga tradizione. In Europa, è introdotto nel sistema penale inglese con il Probation Offenders Act del 1907, ma la prima forma di messa alla prova la ritroviamo oltreoceano con John Augustus, un facoltoso calzolaio di Boston, che, nel 1841, assistendo ad un’udienza nei confronti di un accusato di ubriachezza molesta, si offrì di pagargli la cauzione e chiese al giudice che gli venisse affidato4. Dopo un certo periodo, quando il processo riprese, il giudice vide che quella stessa persona aveva smesso di bere e trovato un lavoro. Impressionato dal grande cambiamento, lo condannò al pagamento simbolico di un centesimo e lo rilasciò. Successivamente altre persone, soprattutto in giovane età ed in difficoltà economiche, furono prese in carico da John Augustus, che provvedeva puntualmente ad informare il giudice in merito ai loro progressi. Gli sforzi effettuati ebbero successo e le sue azioni diedero vita ad un’associazione, la Washington Total Abstinence Society. Nel 1878 fu emanata la prima legge in materia: il Massachusset Probation Act. 

Anche in Italia fin dall’inizio, il probation ha visto un importante coinvolgimento di volontari ed organizzazioni cristiane, ma il suo sviluppo è associato alle iniziative del legislatore volte ad ovviare al sovraffollamento carcerario. Ciò è avvenuto con il cosiddetto “probation penitenziario”, unico sistema di probation riservato ai maggiorenni sottoposti a provvedimento penale fino a dieci anni fa. Esso interviene nella fase di esecuzione di una sentenza di condanna passata in giudicato e si concretizza con una misura alternativa alla detenzione, ma è solo con la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, introdotta nell’ordinamento penale con la legge 28 aprile 2014 n.67, che si è ulteriormente ampliata l’area del probation e l’Italia si è avvicinata agli standard europei.

L’essenza dell’istituto della messa alla prova è costituita dal suo carattere di strumento di composizione preventiva e pre-giudiziale del conflitto penale, insorto con la formulazione dell’accusa nei confronti dell’imputato o con l’inizio dell’indagine da parte del pubblico ministero. Il consenso dell’interessato risulta avere una funzione condizionante l’intera dinamica dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova. Infatti, deve essere richiesta dall’indagato o dall’imputato, la cui volontà deve essere espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale, entro i termini perentori espressamente indicati dalla norma e, in caso di ammissione, anche le stesse prescrizioni trattamentali sono modificabili dal giudice solo con il consenso dell’imputato. 

L’istituto in esame, dal punto di vista afflittivo, è caratterizzato dal lavoro di pubblica utilità, alla cui prestazione va subordinata la concessione stessa del beneficio. Il lavoro di pubblica utilità costituisce l’imprescindibile prescrizione di un’ordinanza che non è volta né ad accertare eventuali responsabilità, né ad applicare alcuna pena. In considerazione di ciò, si può comprendere meglio l’importanza del ruolo attribuito al consenso: da un lato, serve ad evitare problemi di compatibilità in ordine al divieto di lavoro forzato, previsto dall’art. 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, dall’altro, a giustificare un trattamento sanzionatorio, seppur a contenuto afflittivo attenuato, in assenza di una sentenza di condanna.

La sospensione del procedimento con messa alla prova trova applicazione nei casi individuati dall’art. 168 bis del codice penale, tenuto conto di alcuni limiti oggettivi e soggettivi dati dalla gravità del reato (è ammesso solo nei procedimenti per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’art. 550 del codice di procedura penale5), dal fatto che non sia stato già concesso e che il richiedente non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. La decisione che il giudice è chiamato ad assumere è comunque frutto di un’attenta valutazione che, oltre all’assenza dei limiti precedentemente richiamati, deve tener conto del fatto che il richiedente sia in grado di astenersi dal commettere ulteriori reati nonché dell’idoneità del programma di trattamento, che dovrà garantire l’organicità dei contenuti, la chiarezza degli impegni e la congruità degli obiettivi, elaborato dall’ufficio di esecuzione penale esterna, articolazione territoriale del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, d’intesa con il richiedente. Dalla formulazione e dai contenuti di detto programma, congiuntamente ad eventuali altre informazioni (acquisibili attraverso gli organi di polizia o altri enti pubblici) il giudice trae gli elementi per valutare la personalità dell’imputato, la sua estrazione sociale, il contesto familiare e la propensione a delinquere e può decidere se ammetterlo alla prova “sentite le parti, nonché la persona offesa”. Considerata l’ampiezza dei benefici cui potrebbe aspirare il soggetto che ha richiesto la misura, ogni atteggiamento lassista è da ritenere inaccettabile. Così come inaccettabile è la formulazione di un programma di trattamento che non tenga in debito conto le negative ricadute sulla collettività che ciò comporterebbe. Con la sospensione del procedimento, infatti, l’imputato viene affidato, con ordinanza, all’Ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento del programma di trattamento ritenuto idoneo dal giudice e, al fine di evitare che l’istituto si trasformi in una sorta di gratuita impunità per l’imputato, durante il periodo di prova, è sospeso il corso della prescrizione. 

Il giudice fissa i tempi, le modalità, i termini della messa alla prova, ma le prescrizioni, le attività e le condotte devono essere indicate accuratamente nel programma di trattamento, disciplinato dall’art. 464 bis del codice di procedura penale. Detto programma si sostanzia in:

  1. Modalità di reinserimento sociale, che coinvolgono l’imputato e, se possibile e necessario, anche la sua famiglia;
  2. Prescrizioni comportamentali (inerenti alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati luoghi), il lavoro di pubblica utilità e altri impegni specifici (tra i quali le condotte riparatorie, restitutorie e risarcitorie, il volontariato);
  3. Condotte di mediazione con la persona offesa.  

Come emerge chiaramente dal dettato normativo, un ruolo fondamentale nella messa alla prova è rivestito dall’ufficio di esecuzione penale esterna, cui il legislatore ha attribuito, in via esclusiva, specifici compiti, rendendolo l’ente fulcro per l’istituto in questione. È tale ufficio che predispone, elabora ed attua il programma di trattamento, che informa il giudice in merito all’andamento della misura e, al termine della stessa, redige la relazione conclusiva, in esito alla quale il giudice valuterà se l’esito della messa alla prova dell’imputato sia stato o meno positivo.

L’efficacia dell’istituto è, quindi, strettamente connessa al corretto e serio adempimento dei contenuti del programma di trattamento, infatti, decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, tenuto conto del comportamento dell’imputato, qualora riterrà che la prova abbia avuto esito positivo, dichiarerà, con sentenza, estinto il reato. Invece, nel caso di esito negativo della prova, per grave e reiterata trasgressione del programma di trattamento o delle prescrizioni, per il rifiuto opposto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità, per la commissione durante il periodo di prova di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello per cui si procede, il giudice, con ordinanza, dispone la revoca della misura e la ripresa del procedimento. In questo caso, dalla pena da eseguire in caso di condanna, si detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita, che va calcolato secondo precisi parametri.

Come detto precedentemente, elemento imprescindibile del programma di trattamento e che costituisce il nocciolo sanzionatorio con componente afflittiva della misura è lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. Si tratta di un tipo di attività lavorativa che presenta le seguenti caratteristiche: 

  • deve essere una prestazione non retribuita; 
  • va determinata tenendo conto delle specifiche professionalità e attitudini lavorative dell’imputato; 
  • deve avere una durata minima di 10 giorni anche non continuativi; 
  • è una prestazione da svolgere in favore della collettività presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, presso le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato; 
  • la durata giornaliera non può superare le 8 ore; 
  • deve essere svolta con modalità tali da non pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato.

Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una progressiva affermazione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, il cui ambito di applicabilità, con la recente riforma Cartabia, è stato ampliato e comporta l’organizzazione di procedure più snelle, di risposte più immediate e, soprattutto, di programmi più ricchi da proporre agli imputati che prestino il proprio consenso alla misura. Fluide permangono le attività attuate dalla sede centrale, di direzione, verifica, coordinamento e supporto delle strutture periferiche in merito alla materia alla messa prova, anche grazie all’istituzione di un canale comunicativo, semplificato ed immediato, denominato “Osservatorio MAP”, al quale gli uffici possono richiedere informazioni e porre quesiti

Al fine di favorire il consolidamento di un modello di giustizia di comunità di stampo europeo, gli uffici di esecuzione penale esterna, ente fulcro su cui ruota l’istituto, curano l’ampliamento e l’ulteriore diversificazione dei processi di reinserimento nei quali coinvolgere gli imputati. Sono stati indirizzati per favorire l’implementazione e il consolidamento delle connessioni esistenti tra gli stessi, la magistratura ordinaria, l’avvocatura e il complesso di agenzie pubbliche e private nonché del volontariato presenti nelle comunità. Tali sinergie, hanno infatti permesso il superamento di alcune iniziali criticità e il miglioramento della qualità degli interventi previsti per far fronte alle sempre più numerose richieste di messa alla prova. 

Al fine di potenziare le possibilità di accesso alla messa alla prova e renderne effettiva l’applicabilità, in continuità con quanto realizzato negli anni scorsi, il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità ha proseguito l’importante attività di impulso e coordinamento degli uffici territoriali per la stipula e/o l’aggiornamento degli accordi operativi con i Tribunali ordinari, volti ad assicurare una rapida, omogenea e corretta applicazione dell’istituto della messa alla prova, attraverso lo snellimento delle procedure inerenti sia la fase istruttoria che quella di esecuzione, l’ottimizzazione dei tempi e delle risorse a disposizione e l’attribuzione di maggiori e più qualificati contenuti ai programmi individualizzati di trattamento. In tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, ad oggi, su 85 uffici territoriali6 , risultano siglati n. 1397 protocolli di intesa con la Magistratura ordinaria8. Tra le iniziative di maggiore interesse, a cui si sta dando la più ampia diffusione sull’intero territorio nazionale, si rileva anche la costituzione di osservatori permanenti presso i Tribunali ordinari (ad oggi se ne contano 21), che garantiscono il regolare e costante monitoraggio quantitativo e qualitativo dei protocolli d’intesa, e pertanto consentono di integrare e/o modificare in itinere gli accordi, valorizzando le più recenti buone prassi, emerse grazie all’esperienza concreta maturata nel tempo. 

Altrettanto intensa è l’attività di promozione effettuata relativamente alla diffusione di presidi di prossimità, presso i tribunali ordinari, sia nelle città metropolitane, sia nei circondari in cui non insiste un ufficio di esecuzione penale esterna. Tale attività, largamente promossa in una logica di prossimità al cittadino e inizialmente volta a facilitare l’accesso all’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova e, di conseguenza, al potenziamento del ricorso alla misura, successivamente ha favorito anche il maggior ricorso a tutti provvedimenti della magistratura della cognizione. Sull’intero territorio nazionale sono attivi ad oggi 50 presidi di prossimità che, attraverso funzionari di ruolo degli UEPE, eventualmente affiancati da esperti ex art. 80 O.P. e da volontari, svolgono prevalentemente attività di orientamento, informazione e consulenza, ricevono le richieste di programma di trattamento ed effettuano colloqui tecnico-professionali con gli indagati/imputati, i loro procuratori speciali e gli enti che intendono stipulare convenzioni per i lavori di pubblica utilità con i tribunali ordinari.

Il grafico sottostante evidenzia l’incremento significativo e costante del ricorso all’istituto della messa alla prova dal 2014 al 2022.

Immagine che contiene testo, schermata, linea, Carattere

Descrizione generata automaticamente

Nel corso del 2022, gli incarichi sopravvenuti, per quanto concerne l’istituto della messa alla prova, sono stati 28.777 e nel 2023 sono stati 31.934, con un incremento pari a quasi l’11%. Un importante risultato a cui l’Amministrazione centrale ha contribuito fornendo supporto costante, tanto agli Uffici di esecuzione penale esterna quanto alle agenzie pubbliche e private del territorio disponibili nell’offerta di opportunità per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

I dati statistici9 riferiti alla data del 15 febbraio 2024, evidenziano l’attuale incidenza dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova sull’area penale esterna: a tale data, su un totale di 135.365 persone in carico agli uffici di esecuzione penale esterna, si registrano 26.583 persone in carico per la fase esecutiva della messa alla prova e 22.876 quelle per le quali è necessario curare la fase istruttoria. Nell’anno in corso, fino al 15 febbraio, invece, i soggetti per i quali le articolazioni territoriali hanno svolto attività inerenti alla messa alla prova sono complessivamente 59.393.  Si tratta di un numero elevato di procedimenti per gli uffici di esecuzione penale esterna, già da tempo in grave sofferenza, per i quali, oltre all’evoluzione dell’attuale approccio metodologico, organizzativo e procedurale, si rendono necessari maggiori investimenti perché solo un adeguato numero di professionisti potrà realizzare nei tempi stretti dettati dalla normativa in vigore una più efficace risocializzazione “sul campo” in grado di sostituire del tutto il processo e la sanzione per il reato commesso, favorendo l’assunzione e la piena adesione ad un “impegno responsabile” nei probandi. È proprio sul concetto di responsabilità che, infatti, si costruisce il progetto da promuovere nei percorsi di messa alla prova, soprattutto con gli imputati giovani che, seppur maggiorenni, non hanno ancora completato il loro processo di maturazione. Percorsi da realizzare favorendo l’adesione ai valori fondanti il nostro ordinamento e tenendo ben presenti quelli che la Costituzione definisce “principi fondamentali”. In questa sede, ne ricorderemo solo due: l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, richiamati nell’Art. 2, e il dovere di svolgere un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società, previsto dall’Art.4.   

Accanto a tali auspicabili investimenti, una maggiore efficacia del probation sarà possibile grazie all’evoluzione culturale di cui saprà rendersi portatrice la stessa comunità laddove sarà in grado di costruire una rete integrata di servizi atta a garantire serietà, affidabilità e consistenza delle attività che è chiamato a svolgere chi è ammesso alla prova (lavori di pubblica utilità, attività di volontariato, di mediazione penale, risarcimento del danno), nonché a fornire una fattiva collaborazione ed un supporto adeguato agli uffici di esecuzione penale esterna e, quindi, contribuire a favorire l’aumento della percezione di sicurezza nella collettività. In mancanza delle necessarie sinergie e delle dovute garanzie, potrebbero presentarsi intollerabili disuguaglianze. Anche la messa alla prova potrebbe costituire un ulteriore privilegio per soggetti socialmente forti e che hanno la fortuna di vivere in zone più ricche e dotate di un miglior sistema di welfare, mentre ai meno fortunati (emarginati o stranieri) continuerebbe ad applicarsi il “classico” sistema delle reazioni alla devianza, sovvertendo completamente quelle che sono state le condizioni che hanno favorito, all’inizio del ‘900, la nascita del probation in Inghilterra, scaturito proprio dalla “messa a sistema”, del servizio offerto dalle molte associazioni di volontariato di ispirazione cristiana che, motivate dai valori della carità e della misericordia, si preoccupavano di controllare e di favorire il reinserimento sociale dei soggetti devianti più difficili, più problematici e, frequentemente, appartenenti alle classi sociali più marginalizzate e povere, ammessi a sanzioni diverse dalla detenzione e che solo  successivamente, è stato progressivamente sostituito in tutta Europa da professionisti ed organizzazioni statali10.

Al fine di ampliare il ventaglio di offerte di lavori di pubblica utilità, che sia in grado di rispondere all’esigenza di assicurare anche una funzione riparativa oltre che restitutiva all’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, mediante specifiche attività non retribuite di risarcimento del vulnus che l’illecito ha provocato alla collettività, il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità supporta le articolazioni territoriali promuovendo una nuova fase di intese e accordi nazionali più specificamente centrati sulla gestione della messa alla prova e lo svolgimento di attività di lavori di pubblica utilità, tesi ad assicurare uniformemente su tutto il territorio nazionale adeguate e diversificate opportunità di attività non retribuita in favore della collettività attraverso la sottoscrizione di accordi nazionali con enti affidabili e in grado di assicurare adeguati standard organizzativi e, dall’altro, favorendo la stipula di nuove convenzioni locali. Ad oggi, dal monitoraggio effettuato dalla Direzione generale per l’esecuzione penale esterna e di messa alla prova del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, risultano attive sul territorio nazionale 10.436 convenzioni locali.

Contestualmente, si sta procedendo ad una progressiva diversificazione e qualificazione delle attività di pubblica utilità offerte dagli enti, attraverso il coinvolgimento sempre maggiore di enti dalla consolidata mission sociale e con adeguati standard organizzativi, i quali, oltre che a favorire lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, collaboreranno con gli uffici di esecuzione penale esterna nella realizzazione di percorsi di responsabilizzazione e formazione, che garantiranno la predisposizione di programmi di trattamento più ricchi e personalizzati, indispensabili per soddisfare le finalità specialpreventive dell’istituto. Ad oggi, sono stati stipulati, a livello centrale, 29 accordi nazionali con enti in grado di offrire servizi e lo svolgimento di attività dal forte “impatto sociale”. Tra questi, 13 Convenzioni nazionali, che, alla data del 31 gennaio 2024, rendono disponibili presso le strutture degli enti coinvolti 2.483 posti per il lavoro di pubblica utilità ai fini della messa alla prova e 16 Protocolli d’intesa, volti a favorire la stipula di convenzioni locali con i Presidenti dei Tribunali ordinari, all’uopo delegati dal Ministro della giustizia. 

  1. In particolare, si vedano la direttiva 2012/29/UE, la raccomandazione 99/19 e la risoluzione 99/26. ↩︎
  2. La legge 28 aprile 2014, n. 67 introduce modifiche al codice penale, con la previsione del nuovo istituto agli artt. 168bis, 168ter e 168quater; al codice di procedura penale, con l’introduzione degli artt. 464bis e seguenti che regolano le attività di istruzione del procedimento e del processo, nonché l’art. 567bis che indica le modalità di valutazione del periodo di prova; alle norme di attuazione, coordinamento e transitorie del codice di procedura penale; al Testo unico in materia delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale. ↩︎
  3. Il D.P.R. 22 settembre1988, n. 448, recante: “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”. ↩︎
  4. “Giustizia criminale: retribuzione, riabilitazione e riparazione: modelli e strategie di intervento penale a confronto” di Silvio Ciappi, Anna Coluccia Franco Angeli, 1997 pag. 79 ↩︎
  5. Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante: “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia ripartiva e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, ha esteso l’applicabilità dell’istituto ad alcuni reati con pena edittale fino ai sei anni di reclusione, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori.
    ↩︎
  6. 11 Uffici interdistrettuali, 18 distrettuali, 45 locali e 11 sedi distaccate.
    ↩︎
  7. Di cui 16 trattano anche di indicazioni in tema di pene sostitutive ↩︎
  8. Tra protocolli sottoscritti ex novo e quelli aggiornati. ↩︎
  9. Dati forniti dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità in base all’elaborazione su dati del sistema informativo dell’esecuzione penale esterna (SIEPE).
    ↩︎
  10. Ciarpi M. e Turrini Vita R.” Le trasformazioni del probation in Europaed. Laurus Robuffo, febbraio 2015.
    ↩︎

Leave a Reply

Your email address will not be published.