Sotto pagate, ricattate, perfino violentate e poi abbandonate quando non servono più. Sono più di 55.000 vittime dello sfruttamento le donne che sono preda di imprenditori criminali nel mondo dell’agricoltura. Le donne braccianti sono le lavoratrici più penalizzate perché oltre lo sfruttamento e alle paghe minime si aggiungono violenze, ricatti e difficoltà nel bilanciare un lavoro fortemente usurante con la cura della famiglia.
Nei campi lo sfruttamento non è però legato solo alle paghe.
Quando vengono caricate sui furgoni, alle donne va il posto meno comodo e più pericoloso in caso di incidenti.
Sono stati rilevati addirittura casi di aborti procurati dalle condizioni di lavoro estreme.
Nei magazzini, si sta in piedi tutto il giorno con le mani nelle vasche di acqua ghiacciata per lavare gli ortaggi.
Alla fatica si sommano gli abusi, come succede, per esempio, alle donne di origine rumena vittime di traffico internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo e sessuale nella zona di Vittoria, in Sicilia.
Vengono obbligate a ballare seminude nei ruderi, circondate da stranieri e italiani, che poi le violentano, sono chiamati i festini del padrone che portano a gravidanze indesiderate e aborti.
Le lavoratrici si alzano alle 3 per raggiungere i campi ma non sanno se lavoreranno o meno.
La giornata può saltare per il maltempo e in quel caso sarà una giornata non retribuita.
Molte però di loro dopo aver lavorato, arrivano vicine all’età del pensionamento, ma senza i contributi necessari.
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