“Una Battaglia dopo l’altra” o l’ascesa degli anti-film

 “Una battaglia dopo l’altra” non è un film. Non vuole esserlo. O meglio, VUOLE non esserlo. Quello che intendo dire è che, come ormai troppi film recenti, soprattutto di matrice hollywoodiana, “Una battaglia dopo l’altra” sembra in tutti i modi voler distruggere ciò che significa realizzare un film e guardarlo, spacciando per Cinema quello che potremmo descrivere come una spiazzante opera di autoparodia malata e distruttiva. Prima di tutto, non c’è minimamente traccia di pathos, e non intendo nel senso più potente del termine, ma proprio come minima tensione narrativa, sostituita da un’accozzaglia di scene, scontate e troppo lunghe, che si susseguono l’una all’altra, come se fossero degli sketch mal riusciti che spingono alla noia già dopo 20 minuti di visione. Vorrei essere molto chiaro su ciò che sto affermando: non intendo dire che lo stile del film, o la moda cinematografica del momento, non siano di mio gradimento (magari fosse solo questo!), invece ritengo ormai fuor di dubbio, anzi del tutto lampante, che il Cinema stia compiendo un’immane e atroce opera di autodistruzione e possiamo solo augurarci che non sia segno di una più generale tendenza dei nostri tempi…

Ad avermi deluso sono soprattutto il regista e Sean Penn. Quest’ultimo è indiscutibilmente uno dei migliori attori in attività, vincitore di 2 premi Oscar come miglior attore protagonista. Come se non bastasse, egli si è anche distinto più volte per ottime interpretazioni di militari, come in “Taps – Squilli di rivolta” e nel ” La sottile linea rossa”. Eccolo invece nei panni di un soldato psicopatico e ridicolo, a fare delle smorfie a tratti veramente allarmanti, volendo spacciare per alta recitazione quella che è invece una performance indegna anche dell’ultimo filmaccio o della più mediocre telenovela. Veramente. Discorso simile per il regista Paul Thomas Anderson, considerato giustamente un regista prodigioso già dal suo esordio cinematografico del 1996, “Sydney”, e che nel 2017 ci ha regalato “Il filo nascosto”, uno dei migliori film degli ultimi 10 anni. La sua opera precedente, “Licorice Pizza” (2021), era stata invero deludente ma in confronto a “Una Battaglia dopo l’altra” sembra “Viale del Tramonto”! Io veramente non voglio credere che grandissimi registi, come anche Scorsese e Coppola, siano scaduti così tanto con le loro ultime opere spontaneamente. Credo (e per certi versi mi auguro) che si tratti invece di qualche sorta di imposizione che viene dall’alto o come minimo dai produttori.

Non si salva proprio niente del film? Certamente: alcune scene di DiCaprio sono divertenti, altre sono piuttosto efficaci e del resto, quando vengono spesi molti soldi nella realizzazione, c’è quasi sempre una certa spettacolarità diffusa. Ma il punto è che questo non è un film. Potremmo addirittura coniare un nuovo termine, almeno in questa accezione: anti-film. “Una battaglia dopo l’altra” è un anti-film un po’ come la musica commerciale contemporanea è anti-musica e molti dei nuovi libri più promossi dalle librerie sono anti-libri. Tutti questi sembrano realizzati proprio per far dimenticare alla gente lo standard (piuttosto elevato) al quale eravamo abituati un po’ da sempre e che pure era in continuo divenire. Difatti, con queste anti-opere, ad estinguersi non è solo la validità della produzione culturale contemporanea ma, ancor più grave, quel rapporto fondamentale tra creatori e pubblico, quella dinamica che dava il senso (ma anche la sostanza) di stare veramente vivendo i propri tempi e anzi di poterli meglio percepire e comprendere proprio grazie al lavoro dei migliori artisti e di un solido apparato artistico/culturale. Stiamo perdendo tutto questo.

In conclusione, al pubblico meno attento potrebbero sfuggire i riferimenti politici di “Una battaglia dopo l’altra”, mentre essi rappresentano forse il motivo principale per il quale questo anti-film è stato realizzato. Esso infatti è permeato di propaganda politica anarcoide, politicamente corretta, di bassa lega e persino volgare ma non per questo meno efficace. Come nel caso di “Joker”  sei anni fa, infatti, urge sottolineare la pericolosità di tali “opere”, che sembrano fatte apposta per fomentare l’emulazione da parte dei giovani e per scatenare quella cieca violenza che poi, nei discorsi ufficiali, si dice di voler contrastare. Il mio suggerimento, arrivati a questo punto, è di smettere di fidarsi della pubblicità e dei grandi nomi, ovvero smettere di scegliere i film da vedere nel modo nel quale eravamo abituati e di dedicarsi magari a quella miriade di film fantastici che sono già stati realizzati in oltre un secolo di cinema, anche nella speranza che i produttori cinematografici, compresa la situazione, rinsaviscano.

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