Lorenzo Cortesi, studiare il passato per essere inclusivi nell’oggi

“La coscienza razionale nel labirinto della multiculturalità. Viaggio nel tempo per riscoprire la vocazione al dialogo dell’occidente”. Questo il suggestivo titolo del libro di Lorenzo Cortesi, edito da Aracne (Roma, 10 settembre 2024), in cui l’autore critica la visione eurocentrica e riduttiva della storia nell’accezione comune, proponendo invece una lettura più inclusiva che consideri l’interazione con altre culture. Discute, inoltre, dell’importanza di valorizzare maggiormente le fonti letterarie nell’indagine storica e di adottare una prospettiva diacronica per comprendere l’alterità culturale, sia nel passato che nel presente.  Questo libro affronta anche il ruolo della trascendenza nel dialogo interculturale e interreligioso, suggerendo una storicizzazione in ottica teologica dei contenuti dottrinali per favorire una maggiore intesa reciproca.

Lorenzo Cortesi, assistente alla ricerca che studia l’antropologia culturale e le relazioni interculturali, con particolare attenzione al patrimonio classico occidentale, svolgendo la sua professione presso il Centro per le Scienze Religiose (ISR) della Fondazione Bruno Kessler di Trento, in questa bella intervista illustra con grande passione il suo lavoro.

Sono di formazione un classicista e quindi cerco di porre il patrimonio culturale dell’antichità classica al servizio del dialogo interculturale nel mondo contemporaneo. Uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere il libro di cui parliamo oggi è la necessità impellente che avvertivo di riformulare radicalmente il pensiero, che rischia di diventare un pericoloso stereotipo, secondo cui l’occidente fa riferimento alle proprie radici classiche, per vantare una presunta superiorità rispetto alle altre culture. Così facendo non tiene però conto del fatto che la storia della civiltà greco-latina è interamente costruita su incontri con altre civiltà e altre culture. Queste esperienze vengono poi rielaborate per formare un modello antropologico molto ampio e inclusivo, che non si può ridurre esclusivamente a criteri di razionalità analitica, ma che tiene molto in considerazione anche gli aspetti emotivi del vissuto e in particolare il tema del rapporto con la trascendenza. Il patrimonio culturale dell’occidente è dunque innanzitutto un’eredità molto stratificata e composita, alla quale non si può attribuire in maniera artificiosa una natura monolitica.

La problematica sorge proprio perché l’occidente tende a valorizzare dell’antichità classica soltanto quegli aspetti che possono dare prestigio al suo assetto attuale. Quindi sostanzialmente presenta il modello culturale dell’antichità classica come basato in particolare sulla scuola filosofica ionica, su Platone e su Aristotele, ma in realtà tende a trascurare l’importanza fondamentale dell’interazione con le altre culture. In passato però questa non era, come al giorno d’oggi, una dimostrazione di tolleranza o di un elevato grado di civiltà, ma costituiva un’esigenza irrinunciabile per la sopravvivenza della propria comunità.

 Un altro aspetto molto importante, che metto in evidenza nel mio libro, è la necessità di rivalutare sotto una nuova luce le fonti per la ricostruzione del passato, quindi le fonti letterarie o comunque le fonti basate su forme di narrazione. Quest’ultima non è infatti un semplice rivestimento discorsivo di contenuti antropologici, ma ha un respiro esistenziale.

La specificità dello sviluppo dell’occidente contemporaneo risiede, a mio parere, proprio nel suo essersi allontanato da un modello cosmologico pluridimensionale, cioè articolato su vari piani di esistenza ed aperto alla spiritualità e alla trascendenza.

Perciò, il concetto chiave del mio libro è proprio il modello cosmologico pluridimensionale con diversi piani di esistenza che si intrecciano e che l’occidente ha cercato di abbandonare, relegando la spiritualità alla sfera del vissuto soggettivo, considerandola dunque come una opzione senza dubbio legittima, ma non indispensabile alla vita della collettività.

Con la mia analisi, ho anche voluto mostrare come lo studio di epoche passate non sia utile solamente per ricostruire le radici della propria identità, ma possa costituire anche una preziosa opportunità per abituare la mente a confrontarsi con forme di pensiero e di sensibilità emotiva ancora una volta diverse da quella attuale.

In questo percorso intellettuale, lo sviluppo del rapporto con la trascendenza è fondamentale anche per poter concepire e tematizzare l’alterità culturale.

La teorizzazione che lei sta facendo è in qualche modo contestualizzabile nell’oggi?

A fare la differenza oggi è la compressione delle distanze geografiche e la rapidità dell’interazione tra le diverse parti in causa; manca dunque concretamente il tempo per elaborare una riflessione filosoficamente approfondita e fondata sulle motivazioni, anche storiche, dalle quali scaturisce la diversità dell’altro. Ciò che genera i conflitti è l’incapacità, e spesso la carenza di volontà, di integrare nella propria visione del mondo sistemi simbolici e concezioni etiche in grado di spiegare l’origine della diversità dell’altro nella storia.

Lei spiega l’importanza dell’alterità culturale e forse oggi ce n’è più che mai. Siamo all’altezza?

Come dicevo, è necessaria una estensione degli strumenti conoscitivi, interpretativi ed espressivi che permetta di includere l’alterità. Essa, infatti, non può essere ridotta a un oggetto di studio che deve conformarsi ai metodi analitici che l’occidente già possiede. Secondo il mio punto di vista è il pensiero europeo che dovrebbe ampliare la tavolozza delle sue possibilità di interpretazione e di interscambio con le altre culture per arrivare ad un’autentica comprensione delle differenze, che è il presupposto per un dialogo interculturale proficuo. Troppo spesso infatti ci si trincera dietro una nozione molto comoda, se vogliamo, ma anche molto riduttiva del rispetto reciproco, che però di fatto si traduce in un consolidamento della diversità nei rispettivi spazi di influenza. Questa non è una reale integrazione; è invece soltanto l’accettazione di una giustapposizione irriducibile tra due realtà che non si riesce a riunire creativamente in un’unica visione onnicomprensiva del mondo. Quindi sostanzialmente il problema sta nel fatto che l’occidente si affida ad un approccio estremamente limitato rispetto ai molteplici aspetti della diversità.

Lei pone molta attenzione anche al tema della trascendenza, come entra in questo suo lavoro?

La trascendenza, il divino e i vissuti delle diverse fedi non possono essere esclusi da questo discorso.

L’essere umano sperimenta infatti l’alterità innanzitutto nel rapportarsi con il divino. Occorre inoltre constatare che l’unica strada efficace per un dialogo specificamente interreligioso è quella di introdurre un modello di storicizzazione in chiave teologica dei contenuti dottrinali delle differenti fedi. Questo modello si basa sostanzialmente sul fatto che Dio, o comunque la divinità in qualsiasi forma si manifesti, concilia nella sua onniscienza tutte le diverse fedi e calibra i contenuti del messaggio che rivolge all’essere umano sostanzialmente in relazione a due aspetti: il grado di avanzamento delle capacità etiche e conoscitive dell’uomo e il livello di sviluppo storico-sociale che ogni popolo ha raggiunto in un determinato momento della sua storia. È questa una ulteriore prova della straordinarietà del linguaggio divino. Esso, pur mantenendo intatto alla fonte il proprio valore di verità trascendente, ha infatti la capacità di trasformarsi per adattarsi all’evoluzione sociale e giuridica delle comunità umane, rinnovandosi all’infinito.

La sua riflessione si basa sulla grande importanza che ha il passato nella nostra formazione. Perché?

Il passato ci serve come terreno di pratica per allenare la nostra mente a forgiare strumenti concettuali ed espressivi nuovi che ci permettano di capire forme del pensiero diverse da quella del nostro assetto attuale. Ed è più facile farlo rivolgendosi al nostro stesso passato e riscoprendo la diversità come un elemento cardine delle nostre radici e del nostro sviluppo storico, per poi poterci relazionare in modo creativo e fruttuoso all’alterità che vediamo nel mondo esterno di oggi. Quindi è necessario riconoscere la diversità come una componente essenziale della propria identità e saper rimettere in gioco questa sensibilità verso la diversità nell’ordine del mondo attuale.

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