Giovanni Paolo II a dieci anni dalla sua canonizzazione

Il 2 aprile del 2005 lasciava la vita terrena un uomo di Dio che definire eccezionale non è neanche lontanamente sufficiente.

Un uomo intelligente, sensibile e Santo.

Karol Wojtyla eletto al Soglio Pontificio il 16 ottobre 1978 scelse il nome di Giovanni Paolo II per onorare i suoi grandi predecessori nel compito di guidare la Chiesa. È stato definito “l’atleta di Dio”, banalmente per la sua grande passione per la montagna e la sua grande forza fisica. Ma con un’analisi più profonda credo sia bello ancora ricordarlo come “l’atleta di Dio”, perché come un atleta che aveva la guida di Dio è riuscito a fare per la nostra Chiesa cose che a nessun altro uomo sarebbe stato possibile fare. Ad esempio, possiamo ricordare che sotto il suo pontificato sono avvenute cose impensabili come: il crollo del comunismo, la caduta del muro di Berlino, lo smantellamento dell’Unione Sovietica, le giornate di Assisi per la pace, le Giornate Mondiali della Gioventù, i 104 viaggi apostolici nel mondo e le conferenze stampa con i giornalisti in aereo.

Giovanni Paolo II è stato un uomo capace di portare la Chiesa ad essere veramente molto amata.

Aveva un carisma unico che conquistava le folle. In qualsiasi Paese andasse si radunavano tantissime persone ad acclamarlo. Sapeva parlare ai cuori degli uomini. La sua capacità di trasmettere amore era luminosa e coinvolgente, la sua voce forte e al contempo serenamente penetrante, il suo sguardo amorevole e il suo sorriso hanno caratterizzato un lungo e magnifico pontificato.

Giovanni Paolo II ha lasciato un segno indelebile nella storia per i gesti di grande forza che hanno intarsiato tanti aspetti della esistenza umana. Tra questi c’è un aspetto, che può sembrare marginale confronto alla lotta alla guerra, alla fame, al dialogo interreligioso e forse anche ad altro. Ma è un aspetto nodale che ha portato la Chiesa cattolica ad essere universale anche sotto l’aspetto mediatico. Giovanni Paolo II ha aperto la Chiesa alla modernità, utilizzando proprio gli strumenti peculiari del linguaggio moderno, ossia la tecnologia e lo ha fatto talmente sapientemente, che è riuscito ad “usare” il mezzo mediatico per eccellenza, che era la televisione, e renderlo un “alleato” di evangelizzazione. Le sue grandi capacità comunicative hanno, con un termine del gergo giornalistico “bucato lo schermo”. Vale a dire che il suo messaggio e la sua capacità di arrivare al cuore delle persone erano talmente potenti da rendere la televisione una immensa agorà.

Talmente tutti noi aravamo sempre in attesa di vedere papa Giovanni Paolo II in televisione, e non c’era giorno che i telegiornali non passassero servizi su di lui, che anche allo stremo delle forze, malato ed estremamente sofferente, non si è mai sottratto ad essere ripreso dalle telecamere. E questo è stato l’ultimo grande dono che ha fatto a tutti noi, consapevole della nostra attesa in tutto il mondo, non ci ha voluto abbandonare neanche in quei difficili momenti.

Giovanni Paolo II è stato dichiarato Beato il 1° maggio 2011, con il solenne rito della beatificazione tenuto sul sagrato della Basilica Papale di San Pietro, presieduto dal Sommo Pontefice Benedetto XVI ed è poi stato canonizzato il 27 aprile 2014 da Papa Francesco.

In occasione della Canonizzazione anche io ho voluto celebrare nel mio piccolo la grande persona di Giovanni Paolo II. E mi fu data occasione dall’allora Magnifico Rettore della Lumsa, il Professore Giuseppe Dalla Torre, che mi chiese di organizzare assieme al Professore Gennaro Colangelo un evento ad hoc. Due parti componevano questa manifestazione che tenemmo al Teatro Manzoni di Roma: nella prima si sviluppava un prezioso dibattito a cui parteciparono lo stesso Rettore Dalla Torre, illustre intellettuale e molto vicino a Giovanni Paolo II e i cari amici e colleghi Valentina Alazraki e Fabio Zavattaro, esperti conoscitori del pontificato di Giovanni Paolo II. Nella seconda parte dell’evento invece abbiamo voluto portare in scena un bellissimo testo teatrale proprio scritto da Karol Wojtyla: il suo Giobbe. Un testo veramente molto profondo e sempre molto poco rappresentato, che in quella occasione abbiamo affidato alla mirabile interpretazione di Paola Gassman e Ugo Pagliai.

A dieci anni dalla canonizzazione di San Giovanni Paolo II è stata celebrata una splendida Santa Messa nella Basilica Vaticana alla presenza di tanti Cardinali e Vescovi, di molti ecclesiastici e di tante tante persone. Nel pomeriggio del 27 aprile 2024 il Cardinale Angelo Comastri ha tenuto la sua incantevole Omelia, che in maniera magistrale ha raccontato cosa è stato per tutti noi Giovanni Paolo II. Lo ha fatto in un modo così sentito e così vibrante da aver commosso fino alle lacrime.

È talmente bello ciò che il Cardinale Comastri ci ha donato in questa occasione, che non vogliointerromperlo con alcun commento e lo presento ai lettori così come ce lo ha donato.

“Sia lodato Gesù Cristo!

Mi è stato chiesto di tratteggiare (cosa non facile) la santità di Giovanni Paolo II.

Certamente il Cardinale Decano poteva farlo molto meglio di me. Ma è stato chiesto a me, pertanto obbedisco. E inizio con un ricordo.

L’8 aprile 2005 tantissimi di noi eravamo in piazza San Pietro per dare l’ultimo saluto a Giovanni Paolo II. I nostri occhi, umidi di pianto, osservavano attoniti – lo ricordate? – osservavano l’Evangeliario posto sulla semplice bara di rovere, collocata al centro del sagrato. Un vento improvviso, tra lo stupore di tutti, cominciò a sfogliare le pagine del libro.

Tutti in quel momento ci chiedevamo: “Chi era Giovanni Paolo II? Perché l’abbiamo così tanto amato?”

La mano invisibile che sfogliava l’Evangeliario sembrava dirci: “La risposta è nel Vangelo! La vita di Giovanni Paolo II è stata una continua obbedienza al Vangelo di Gesù per questo – ci diceva il vento! – per questo lo avete amato! Avete riconosciuto nella sua vita il Vangelo di sempre: il Vangelo che ha dato luce e speranza a generazioni e generazioni di cristiani”. Oggi sappiamo che quel presentimento fu un’ispirazione, perché la Chiesa, attraverso il Papa Francesco, dieci anni fa ha riconosciuto la santità di Giovanni Paolo II: e noi oggi esultiamo e ringraziamo coralmente Dio, artefice instancabile di santi.

Ma ricordando le parole di Giovanni Paolo II: “I santi non ci chiedono di applaudirli, ma di imitarli”, doverosamente ci domandiamo: “Che cosa ci insegna la santità di questo straordinario discepolo di Gesù nel secolo ventesimo?”

A me sembra che a Giovanni Paolo II debba essere riconosciuto un merito non piccolo: è stato un uomo coraggioso nell’epoca delle grandi paure; è stato un uomo deciso e coerente… nell’epoca dei compromessi e della indecisione programmatica. A lui si applicano stupendamente queste parole di Gesù: “Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltato all’orecchio predicatelo sui tetti. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima”. Non solo.

Giovanni Paolo II è stato coraggioso nel difendere la pace, mentre soffiavano venti di guerra. Chi non ricorda il coraggio dei suoi ripetuti e accorati appelli, anche quando non venivano ascoltati? Talvolta sembrava un profeta che parlava nel deserto dell’indifferenza: eppure Giovanni Paolo II non si è lasciato scoraggiare, ma ha continuato a dire ciò che lo Spirito di Gesù gli suggeriva nel santuario della coscienza. E Papa Francesco oggi continua questo accorato e inascoltato appello alla pace.

Il giorno di Natale del 1990 Giovanni Paolo II espresse la sua preoccupazione e la sua sofferenza per la partecipazione di tante Nazioni alla “concentrazione massiccia di uomini e armi” nel Golfo Persico.

E nel messaggio natalizio rivolto al mondo disse così: “La luce di Cristo è con le nazioni tormentate del Medio Oriente. Per l’area del Golfo, trepidanti, aspettiamo il dileguarsi della minaccia delle armi. Si persuaderanno i responsabili che la guerra è avventura senza ritorno”. E Papa Francesco non si stanca di dire che “la guerra è sempre una sconfitta”.

Giovanni Paolo II non venne ascoltato, ma la storia gli sta dando ragione: oggi più di ieri.

E chi non ricorda con emozione e ammirazione il grido del 16 marzo 2003, al termine del corso di Esercizi Spirituali, con i quali egli abitualmente iniziava la Santa Quaresima? Affacciandosi dalla finestra del suo appartamento, senza paura esclamò: “Io so, io so che cosa è la guerra! Io ho il dovere di dire a costoro (=a coloro che credono nella guerra!) che la guerra moltiplica l’odio e non risolve i problemi”.

Che coraggio! In quel momento questo linguaggio era assolutamente controcorrente, ma Giovanni Paolo II ha sfidato più volte l’impopolarità per restare tenacemente fedele al suo compito di servo della verità: quella verità che Gesù ha consegnato alla Chiesa e, in particolare, ha consegnato a colui che Egli ha soprannominato “pietra”.

Più volte, ascoltando le parole di Giovanni Paolo II, mi è venuta in mente questa lucidissima affermazione dell’apostolo Paolo: “Noi non abbiamo alcun potere contro la verità, ma per la verità” (2Cor 13,8). Mai dobbiamo dimenticare questa affermazione dell’Apostolo Paolo.

Giovanni Paolo II è stato un uomo coraggioso nel difendere la famiglia in un’epoca in cui si è persa la consapevolezza dell’ineliminabile dualità sposo-sposa e padre-madre. Papa Wojtyla, con occhio profetico, aveva nitidamente percepito che oggi è in pericolo l’umanità dell’uomo, cioè il costitutivo progetto dell’umanità come famiglia, come uomo e donna che, attraverso l’amore fedele, diventano culla della vita e luogo insostituibile di crescita e di educazione della vita umana.

Il suo insegnamento a difesa della famiglia fu insistente e appassionato. Nella “Lettera alle famiglie” scrisse con lucida convinzione: “Attraverso la famiglia fluisce la storia dell’uomo, la storia della salvezza dell’umanità”. E nella Esortazione Apostolica Familiaris consortio dichiarò: “In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla e comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è legato profondamente alla famiglia, sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia” (F.C.3).

Penso che Giovanni Paolo II abbia provato una lacerante ferita al cuore, quando si sparse la notizia che il Parlamento Europeo non era riuscito a trovarsi d’accordo nel dare una definizione della famiglia: il fatto era gravissimo ed era un indice dello smarrimento della coscienza europea. Forse, spinto da questo allarmante dato, il Papa si buttò, come un atleta, a difendere la famiglia. Le Giornate Mondiali della Famiglia, il Giubileo delle Famiglie, i continui Messaggi agli Sposi e alle Famiglie sono il frutto di un amore tenace e, nello stesso tempo, sono un’azione intelligente per rieducare i popoli e i parlamenti delle nazioni ai valori che formano un’autentica civiltà. Se cade la famiglia, che cosa resta di una società? Se si smarrisce la famiglia, quale segnaletica guiderà i figli nel cammino della vita? Lo sbandamento dei giovani è conseguenza dello sbandamento della famiglia.

Giovanni Paolo II capiva tutto questo e, pertanto, dal suo cuore è partito un insistente e qualificato magistero sul valore e sul significato della famiglia. Forse, fra qualche anno o fra qualche decennio, potremo meglio apprezzare l’opera svolta da Giovanni Paolo II per ricostruire il senso della famiglia nell’annebbiamento dell’intelligenza dei nostri contemporanei. Col passare del tempo capiremo sempre di più la verità di questa affermazione di Giovanni Paolo II: “Quanto più la famiglia è santa ed unita, tanto più lo è la società. Al contrario, lo sfacelo della società ha inizio con lo sfacelo della famiglia. È una convinzione espressa da uno de maggiori scrittori spagnoli del Novecento, Miguel De Unamuno, il quale disse: ’L’agonia della famiglia è l’agonia del cristianesimo’”. Ed è anche l’agonia dell’umanità.

Per questo motivo anche Papa Francesco nel viaggio in Georgia dell’anno 2016 sottolineò che “oggi è in atto una guerra mondiale contro la famiglia”. Non possiamo restare indifferenti perché la famiglia è un bene di tutti ed è un bene per tutti.

Giovanni Paolo II è stato un uomo coraggioso nel difendere la dignità della vita umana, di ciascuna vita umana: bianca o gialla o nera; sana o ammalata; ricca o povera; dal concepimento alla morte. L’enciclica Evangelium vitae è un documento straordinario che parla all’intelligenza e al cuore.

Giovanni Paolo II afferma: “Sul riconoscimento di tale diritto (=diritto alla vita) sifonda l’umana convivenza”. Eppure recentemente il Parlamento Francese ha dichiarato costituzionale il diritto all’aborto, cioè il diritto di uccidere il bambino nel grembo della madre. Il diritto alla vita non esiste più.

Per questo motivo è significativo ricordare il fremito che attraversò improvvisamente tutta la persona di Giovanni Paolo II alla Valle dei Templi, nei pressi di Agrigento il 9 maggio 1993! Con piglio degno di Amos o di Osea e con linguaggio potente come quello di Isaia… egli gridò tra lo stupore di tutti: “Uomini della mafia, convertitevi! Di quello che fate oggi ne dovrete un giorno rispondere davanti a Dio!”. In quel momento tutti avvertirono che il Papa si esponeva al rischio della vendetta e, forse, anche al pericolo di un nuovo attentato. Ma Giovanni Paolo II era pronto a dare la vita: nel suo lungo pontificato egli ha spesso camminato su aspidi e vipere, confidando unicamente nell’aiuto e nella protezione del Signore.

Egli è stato un uomo coraggioso nel cercare i giovani e nel parlare ai giovani. All’inizio del suo pontificato sembrava che la Chiesa non riuscisse più a intercettare il linguaggio dei giovani e non avesse più la credibilità presso le nuove generazioni. Giovanni Paolo II non ha accettato la fuga o la politica dello struzzo. Egli sapeva che i giovani senza Cristo, non avrebbero mai potuto trovare il senso della vita e non avrebbero mai potuto assaporare la verità affascinante dell’amore, che è dono di sé e non capriccio che tutto e tutti piega a sé. Il Papa ha cercato i giovani e i giovani l’hanno sentito amico: amico vero, amico sincero, amico che non scende a compromessi per avere audience, amico che non annacqua la proposta evangelica per diventare popolare, amico che non usa la demagogia per strappare gli applausi giovanili.

E i giovani… l’hanno applaudito con calore, con spontaneità, con manifestazioni di simpatia, che spiazzavano tutti coloro che avevano già previsto il funerale della Chiesa e l’estinzione del nome cristiano.

Una tappa decisiva fu l’incontro con i giovani al Parco dei Principi, a Parigi, il 1° giugno 1990: la veglia durò tre ore, fu una grande festa e un dialogo serrato con ragazzi e ragazze che facevano domande e il Papa rispondeva. Tra gli altri andò al microfono un giovane e, con totale spontaneità, parlò così: “Io sono ateo. Rifiuto ogni credenza e ogni dogmatismo. Voglio dire inoltre che non combatto la fede di nessuno, però non comprendo la fede. Santo Padre, in che credete? Perché credete? Che vale il dono della nostra vita e com’è quel Dio che adorate?”

Giovanni Paolo dirà all’amico Andrè Frossard d’essersi subito accorto che le domande di quel giovane “non figuravano nella lista” che gli era stata consegnata. Le memorizzò e si propose di rispondere come poteva, improvvisando. Ma poi il “dialogo a tante voci” di quella serata lo distrasse ed egli non rispose a quel ragazzo, che aveva detto le cose più impegnative.

Tornato a Roma, Giovanni Paolo “desolato per quella omissione”, scrive al cardinale Marty “per chiedergli di ritrovare quel giovane e di presentargli le mi scuse”. Il giovane viene rintracciato, le scuse sono accettate con lo stupore del giovane. Ma il Papa non dimentica quella sfida e praticamente fa di ogni suo incontro con i giovani un tentativo di risposta a quelle domande fondamentali, perché “oggi non è più possibile parlare della fede senza tener conto dell’incredulità”.

I giovani hanno amato intensamente Giovanni Paolo II e l’hanno cercato come si cerca un padre che, all’opportunità, sa anche correggere, perché sa amare veramente e lealmente.

E concludo con un doveroso accenno alla devozione mariana di Giovanni Paolo II. Gli anni 1965-1975 sono stati gli anni dell’inverno mariano: sembrava che improvvisamente tanti (troppi!) facessero a gara nell’emarginare la Madonna per ridare (così si diceva) la centralità a Gesù Cristo. Il discorso era semplicemente pretestuoso, perché il Figlio e la Madre non sono alternativi ma correlativi. E Giovanni Paolo II ha ridato a Maria il suo posto nella Chiesa accanto a Gesù! E’ partendo da Gesù, infatti che si scopre Maria; è partendo da Gesù, che si avverte la presenza della Madre e la sua ineliminabile missione che non è quella di sostituirsi al Figlio, bensì quella di portarci a Lui!

Il suo stemma episcopale e pontificare era una vera carta d’identità: la “M”, che si stagliava sullo sfondo azzurro, veniva commentata dal grido del figlio verso la Madre: “Totus tuus” = “Tutto tuo!”.

A questo punto diventa chiaro e commovente il gesto del Papa che, dopo il drammatico attentato del 13 maggio 1981, va a Fatima a ringraziare la Madre, consegnandoLe la pallottola mortale, che però non è riuscita ad uccidere; diventa chiaro il continuo pellegrinaggio del Papa verso i Santuari mariani, dove “si è come contagiati dalla fede di Maria” (Lettera per il VII centenario lauretano); diventa chiaro e luminoso il gesto del Papa, che stringe tra le mani la corona del Rosario per sentirsi aggrappato alla solidità e alla tenerezza della Madre, diventa chiara la fedeltà alla recita dell’”Angelus” che il Papa ha portato sulle piazze, sui monti e nei crocicchi del mondo intero.

Il significato del terzo segreto di Fatima fu chiaro a partire dal 13 maggio 1981, giorno dell’attentato in Piazza San Pietro. E, soprattutto, a partire dal 25 marzo 1984.

Infatti, rispondendo all’invito consegnato dalla Madonna ai tre pastorelli di Fatima il 13 luglio 1917, Giovanni Paolo II consacrò la Russia al Cuore Immacolato di Maria nel giorno della festa dell’Annunciazione, cioè il 25 marzo 1984: il fatto, ad occhi superficiali, poteva sembrare un semplice gesto di devozione. Invece… un anno dopo, in Russia va al potere Michail Gorbaciov ed inizia il pacifico processo di autodemolizione dell’impero del comunismo ateo: qualcosa di incredibile, di impensabile, di imprevedibile!

E l’9 dicembre 1991, festa dell’Immacolata Concezione di Maria, in una riunione dei leaders delle più importanti repubbliche dell’URSS viene deciso lo smantellamento dell’Unione Sovietica: il fatto stupì il mondo intero e lasciò tutti con il fiato sospeso. Come era stato possibile?

Lo stesso Michail Gorbaciov, ricordando quell’8 dicembre memorabile, ha confidato: “Ancora oggi non riesco a capire quello che passò per la testa dei deputati russi, ucraini e bielorussi in quell’8 dicembre 1991” (così riportava il Corriere della Sera, 30 dicembre 2001). Ma se osserviamo attentamente la data (8 dicembre!), scorgiamo attraverso questo ricamo di eventi una mano delicata e decisa: la mano materna di Maria!

Vorrei aggiungere una osservazione. I “fatti” di Fatima non furono la ragione della devozione mariana di Giovanni Paolo II: sarebbe un terribile travisamento pensare questo, poiché è vero il contrario. La devozione mariana di Giovanni Paolo II, infatti, è la ragione e la spiegazione dei “fatti” di Fatima: e non viceversa. Cioè: poiché il Papa amava Maria e a Lei aveva detto “Totus tuus”, Maria gli ha fatto sentire il 13 maggio 1981 tutta la verità e la tenerezza della sua maternità.

La ragione della devozione mariana di Giovanni Paolo II, pertanto, era anteriore a Fatima e indipendente da Fatima. La devozione mariana del Papa era totalmente fondata sul Vangelo, fondata sulla Parola di Dio. Nella Lettera Apostolica Tertio millennnio adveniente Egli scrisse: “La risposta di Maria all’angelico messaggio è univoca: ‘Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto’ (Lc1,38)”. Giovanni Paolo II esclama: “Mai tanto dipese, come allora, dal consenso dell’umana creatura” (T.M.A.2).

Per questo motivo oggi la nostra gratitudine è ancora più forte e più convinta. E ogni volta che stringiamo la corona del Santo Rosario e recitiamo l’Ave Maria, esca dal nostro cuore un’esclamazione spontanea: “Totus tuus, Maria!”

È l’eredità mariana, che chi ha lasciato Giovanni Paolo II ed è sempre valida.

E, con fiducia, oggi ci fa pregare così:

Maria, Madre della Chiesa, prega per noi!

Maria, aiuto dei cristiani. Prega per noi!

Sia lodato Gesù Cristo!”

Leave a Reply

Your email address will not be published.