Il nuovo capolavoro di Clint Eastwood

Il nuovo film di Clint Eastwood, “Giurato numero 2”, è l’ennesimo capolavoro del maestro californiano. Si tratta di un dramma giudiziario, memore di “La parola ai giurati” (1957), che vuole in realtà essere uno spaccato della società americana contemporanea. Essa ci viene dipinta come fragile e in crisi, popolata da persone che sono state prese a pugni dalla vita e che per lo più volgono la loro attenzione verso attività semplici e tradizionali. Si tratta quindi di un ritratto degli americani molto diverso da quello che ci viene molto spesso proposto, soprattutto negli ultimi anni: non è un popolo proiettato nel futuro ma ancorato, aggrappato a delle tradizioni e a delle abitudini delle quali però sembra aver smarrito la “teoria”, preservando il più possibile la forma, dopo aver smarrito il contenuto. Tale giudizio investe in pieno anche il tribunale. La legge americana, infatti, non ci viene presentata come corrotta e inaffidabile, al contrario. Ciononostante, essa appare intenta solo nel punire i (presunti) colpevoli piuttosto che attenta a fare veramente giustizia, ristabilendo ovvero l’equilibrio là dove era stato turbato. Ma il punto è proprio questo: l’equilibrio è talmente turbato nella cittadinanza e nell’animo americani che l’applicazione della legge, per quanto professionale, non può veramente assolvere il proprio compito. Una delle frasi chiave del film è:”verità e giustizia non sono sempre la stessa cosa”.

Stilisticamente, il film è curato ma essenziale, ambientato nella città di Savannah in Georgia (già cara a Forrest Gump), quindi nel Sud-est degli USA, con un paesaggio urbano piuttosto modesto e la prossimità di una natura ancora florida, che sembra incombere sulle costruzioni e i personaggi: chiara simbologia di una realtà, di una vita, misteriose e pericolose, difficilmente domabili. Il ritmo narrativo è moderato ma mai noioso, senza contare la sceneggiatura che rende molto coinvolti negli avvenimenti. La camera, però, più che “impersonarsi” nei personaggi ed aumentare il pathos dell’azione, sembra restituirci i fatti quasi con distacco. A mio avviso, ciò serve ad aumentare la percezione dei protagonisti come dei “corpi senz’anima”, rendendo ancora più evidente il loro spaesamento in quella che pure dovrebbe essere casa loro. L’apparente semplicità della regia, quindi, nasconde tutt’altro.

Gli interpreti si dimostrano perfettamente all’altezza, anche se sarebbe stata molto apprezzata la partecipazione di un cast di maggior valore. L’unico a rientrare pienamente in tale categoria è il Premio Oscar J.K. Simmons (il direttore del giornale nei primi film di Spiderman). Il protagonista è il giovane Nicholas Hoult, famoso per i suoi ruoli fantascientifici (X-Men e Mad Max), che, curiosamente, ritrova nel cast la nota attrice Toni Collette, che aveva interpretato il ruolo di sua madre in “About a Boy – Un ragazzo” più di 20 anni prima. Una menzione speciale va a Kiefer Sutherland, talentuoso attore, probabilmente presente nel cast anche come omaggio al padre Donald, recentemente scomparso, che all’interno della sua sterminata filmografia (“Quella sporca dozzina”, “M*A*S*H”, “Novecento”, “Il Casanova di Federico Fellini”, la serie di “Hunger Games”, etc.) ha anche collaborato due volte con Clint Eastwood nei bellissimi “I guerrieri” (1970) e “Space Cowboys” (2000), quest’ultimo diretto dallo stesso Eastwood.

Leave a Reply

Your email address will not be published.