
Molto deludente il film “Freud – L’ultima analisi”, nel quale perfino l’eccellente interpretazione di Anthony Hopkins nei panni del padre della psicanalisi viene deturpata dal resto del film. Difatti, il film mente. Se avete visto il trailer, avrete notato come esso vi proponga lo storico incontro fra Freud e C. S. Lewis (non solo autore di Narnia, ma straordinario pensatore e divulgatore cristiano, interpretato dal buon Matthew Goode). Peccato che esso non sia mai avvenuto. Prima bugia. La seconda riguarda la trama del film. La prima metà, per quanto inventata, è infatti piuttosto piacevole, perché si svolge nel sostanziale rispetto delle due grandi personalità ritratte, toccando temi molto alti e in uno scenario ben ricostruito. Invece, la seconda metà del film è un disastro. In essa, in maniera anche grossolana, emerge quello che si cerca di far diventare il vero cuore del film, legato alla figura di Anna, figlia di Freud (interpretata da una promettente giovane attrice tedesca, Liv Lisa Fries). La figlia infatti, in maniera subdola e strisciante, diventa la vera protagonista, o meglio, la sua omosessualità: improvvisamente, mettendo bruscamente da parte il (fantasioso) incontro fra i due luminari, il film vira sul politicamente corretto. Freud ora non è più un genio morente fuggito dai nazisti, ma un padre oppressivo, misogino e omofobo. Lewis è importante perchè ha una relazione con una donna molto più anziana: la figlia e la sua amante sono le vere trionfatrici. Oltre al fatto che tutto può, anzi deve essere messo in dubbio di un film che non si fa scrupolo di stravolgere storia e trama pur di arrivare allo scopo di “indottrinare” il pubblico, ciò che è più grave è che esso, cioè noi, veniamo imbrogliati senza scrupoli e accusati, in maniera piuttosto esplicita, di essere a nostra volta dei pericolosi reazionari bigotti, colpevoli di voler vedere un buon film d’epoca e dunque giustamente puniti con un’ora di robaccia inguardabile.
Qualcosa di simile, come ricorderete, era successo con il film “Cattiverie a domicilio” (2023), dove l’ottima recitazione e ambientazione venivano tradite e sconvolte dall’evidente propaganda e dal falso storico. In particolare, una poliziotta asiatica e (addirittura) un magistrato nero nell’Inghilterra degli anni Venti. Ma cosa ne è stato di capolavori come “Thelma & Louise” ed “Erin Brockovich”, dove il punto di vista femminile e le giuste rivendicazioni si combinano alla perfezione ed anzi rilanciano la bellezza e il valore dei rispettivi film? Speriamo davvero che il clima culturale internazionale possa cambiare decisamente rotta.
In conclusione, sono rimasto personalmente turbato da due fatti. In primo luogo, Hopkins aveva già interpretato brillantemente proprio il ruolo di C. S. Lewis nel capolavoro “Viaggio in Inghilterra” (dove peraltro non manca il punto di vista femminile), creando quindi di fatto un legame irrispettoso fra i due film (qualcosa di simile era accaduto con la partecipazione di Robert De Niro al deprecabile “Joker”, dove il legame, proposto in maniera evidente, sarebbe con i capolavori di Scorsese). Il secondo fatto riguarda il regista del film, ovvero Matt Brown. Consiglio molto caldamente di vedere il suo capolavoro del 2015, “L’uomo che vide l’infinito”. Era da allora che aspettavo un suo secondo film, e non avrei potuto essere più deluso e tradito.
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